L’antenato. Oggi si parla della “riforma del Mes”, che attende la ratifica italiana per entrare in vigore, ma l’istituzione esiste da oltre dieci anni. Semplificando, l’antenato del Mes – il Fondo “salva-Stati” – nasce nel 2010 quando inizia a delinearsi la crisi greca: nel 2011 il fondo interverrà anche su Irlanda e Portogallo (si aggiungeranno poi Spagna e Cipro). Il 2010 è un anno fondamentale per l’Ue perché è nell’autunno di quell’anno che Sarkozy e Merkel chiariscono, dalla spiaggia di Deauville, che gli Stati Ue possono fallire e che quei fallimenti coinvolgeranno il settore privato: per questo il lavoro che nei Paesi normali fa la Banca centrale in Europa è affidato a un ente che ragiona come un creditore privato. I programmi di aggiustamento imposti ai Paesi “aiutati” sono stati durissimi, socialmente devastanti e spesso inefficaci dal punto di vista dei conti pubblici (ma ottimi per le banche creditrici di quei Paesi, che hanno recuperato tutto).
La fondazione. Il salva-Stati era stato pensato per durare tre anni, ma si capì subito che non sarebbero bastati: il Consiglio Ue decise di dotarsi di uno strumento stabile, l’odierno Mes appunto. Il Trattato istitutivo fu messo a punto nel luglio 2011 con l’avallo del governo italiano dell’epoca, quello di Silvio Berlusconi in cui Giorgia Meloni era ministro della Gioventù. La firma ufficiale, però, arrivò il 2 febbraio 2012, quando a Palazzo Chigi c’è Mario Monti. Il ministro dell’Economia di Berlusconi, Giulio Tremonti, ha sostenuto poi che il trattato del 2012 sia assai diverso da quello avallato dal suo esecutivo: a giudicare dai testi, però, le modifiche non sono sostanziali.
Cosa fa il Mes. Organo tecnico con 160 dipendenti, legibus soluto e politicamente irresponsabile è chiamato a intervenire quando un Paese europeo non è più in grado di accedere ai mercati per finanziarsi: in sostanza concede prestiti onerosi in cambio di programmi di aggiustamento macroeconomico che dovrebbero servire a ripagarli (in sostanza ripropone in Europa l’armamentario che il Fmi usa per i Paesi poveri: il fatto che non abbia funzionato mai non ostacola la faccenda). La cosa è talmente chiara a tutti che oggi il Mes è disoccupato: persino la famigerata “linea pandemica” – lanciata nel 2020 e venduta come “senza condizioni” – non è stata richiesta da nessuno Stato. Il Mes, infine, è creditore privilegiato: va pagato per primo. Per i suoi fini ha un capitale di 704 miliardi di euro, solo 80,5 dei quali versati: l’Italia ci ha messo 14 miliardi su 125 di impegno teorico.
La riforma/1. Il nuovo Trattato abilita il Mes a concedere prestiti precauzionali a Paesi colpiti da “choc esogeni” il cui debito è “sostenibile” (a parere del Mes e della Commissione Ue) che rispettino i requisiti del Patto di Stabilità (deficit, debito, etc). Problema: siccome l’assistenza finanziaria può essere concessa solo dietro pagella positiva sulla sostenibilità del debito (non basata su parametri automatici, com’era stato proposto, ma comunque oscuri e discrezionali), l’intervento del Mes può essere condizionato a una ristrutturazione parziale del debito: un default. A questo fine vengono introdotte le cosiddette Cac single-limb, cioè – senza entrare troppo nei tecnicismi – clausole sui titoli di debito che consentono una gestione più facile del default coi creditori. Questo in accordo con “l’adeguata e proporzionale forma di coinvolgimento del settore privato” predicata dal Trattato fin nel preambolo.
La riforma/2. Assegna al Mes un nuovo compito e cioè la possibilità di fungere da backstop, da supporto, del Fondo di Risoluzione Unico dal 1° gennaio 2024: in sostanza sono circa 70 miliardi – che si aggiungono alla settantina già presente nel Fondo unico – destinati a salvare le banche europee in difficoltà. Anche qui, basta pensare ai recenti (e relativamente piccoli) fallimenti bancari dovuti all’aumento dei tassi di interessi per capire che parliamo di spiccioli e che quel lavoro in genere lo fanno le Banche centrali, le uniche ad avere gli strumenti per calmare i mercati.
Il rischio. Mentre nei fatti si indica la strada del default a chi è in difficoltà, si concede una linea di credito contro uno choc esogeno a chi ha i conti in ordine: in sostanza si stende una cortina di ferro finanziaria intorno ai Paesi in crisi per togliergli capacità negoziale. Per cosa era stata pensata? Basti dire che questa riforma nasce a fine 2017, quando l’Italia si apprestava alle elezioni politiche. Questo a non voler considerare un problema – ma lo è ed enorme – ovvero la centralità riconosciuta al Mes nella gestione delle future crisi finanziarie.
L’approvazione. La riforma del Mes è stata delineata nei suoi contenuti fondamentali durante il governo Conte-1, anche se la Lega e persino i 5 Stelle all’epoca dissero di non aver dato alcun mandato in questo senso né all’allora ministro Giovanni Tria né al premier. Una risoluzione parlamentare dell’estate 2019 (gialloverde) bloccava, in sostanza, il processo di approvazione da parte del governo, sottoponendo quel sì a una serie di impegni. A dicembre 2019, però, la nuova maggioranza (M5S-Pd) ha edulcorato quella posizione: di fatto la riforma del Mes doveva andare insieme, ma non in contemporanea, con un abbozzo di bilancio comune (Bicc), con l’emissione di un safe asset europeo (eurobond) e l’introduzione di uno schema di assicurazione comune sui depositi bancari (Edis). È la “logica di pacchetto” cara a Conte, che l’allora ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ritenne soddisfatta: sull’Edis si sta trattando (e niente si muove), bilancio e ed eurobond sono in nuce nel Recovery (che è temporaneo). È su questa base che Gualtieri diede il via libera al nuovo Trattato nell’Eurogruppo di novembre 2020, a cui seguì una risoluzione parlamentare per il via libera il 9 dicembre e la firma ufficiale a inizio 2021. Il resto è il balletto sulla ratifica, che dura da tre anni: com’è noto manca solo quella italiana.