Il disegno di legge delega per la riforma fiscale è uno strano misto di vaghezza e precisione: la precisione c’è però per cose di rilevanza non primaria (per esempio sull’introduzione di una specifica disciplina sulle plusvalenze conseguite dai collezionisti), mentre la vaghezza c’è proprio sulle cose più importanti. Forse esagero un po’, visto che ci sono anche cose rilevanti sufficientemente dettagliate (vedi sotto), ma la sostanza è quella. Non solo: alcune delle cose vaghe, sono comunque problematiche.
Chiarisco una cosa: una legge delega autorizza il governo ad adottare entro una certa data (in questo caso due anni) dei decreti legislativi per attuare riforme. Un decreto legislativo torna in Parlamento solo per pareri non vincolanti. Insomma, è il governo che decide tutto, senza più un dibattito parlamentare. Certo, anche la legge delega proposta dal governo Draghi (mai approvata) era vaga, ma quel governo era sostenuto da una maggioranza così variegata che un minimo comun denominatore non poteva essere che vago. Ora il governo è politico e una maggiore chiarezza era attesa. La persistente vaghezza suggerisce che, forse, su questioni fondamentali, il governo non ha ancora le idee chiare.
Cos’è essenziale per una riforma del fisco? Cose tipo: di quanto scenderà il carico fiscale? Se scenderà, come sarà finanziata la perdita di gettito? Quali sono gli effetti redistributivi? Quanto progressiva sarà la tassazione? Quante aliquote Irpef ci saranno? Quante aliquote Iva ci saranno? Nessuna di queste domande trova risposte: nella delega ci sono tante parole, ma pochissimi numeri. Tutto viene rinviato. Una precisazione: il governo ha fatto circolare una presentazione Power point con ipotesi illustrative, ma quel che conta è quel che c’è nella legge delega. E non c’è molto su questi punti chiave. Fra l’altro, se il governo non ha ancora deciso su queste cose, che fretta c’era? Si creano situazioni assurde. La legge delega prevede, per lo meno nella versione circolata al momento della chiusura di questo articolo, che, nel caso servano risorse aggiuntive, queste potranno essere definite (per esempio con tagli di spesa) anche attraverso altri decreti legislativi del cui contenuto non si sa nulla. Il governo potrebbe, per esempio, tagliare la spesa sanitaria senza un passaggio parlamentare se non per un parere.
Diverse altre cose preoccupano, pur nella loro vaghezza. Ne cito due in particolare.
La prima: il governo intende muoversi “verso l’aliquota impositiva unica”, la mitica flat tax, una tassa che hanno solo otto Paesi dell’Est Europa che, per finanziarla, devono tenere la spesa sociale su livelli di una decina di punti di Pil più bassa che da noi e che comporta un grado di progressività molto inferiore a quello attuale in Italia. Presumibilmente, se quello è il punto d’arrivo, anche il regime di transizione sarà meno progressivo di quello attuale, che già era molto meno progressivo di quello che esisteva qualche decennio fa (negli anni ’70 l’aliquota massima di tassazione era al 72 per cento, anche se erano altri tempi).
La seconda è la generale impostazione alla lotta all’evasione fiscale. Non sono bastati i condoni fiscali della passata legge di bilancio. Per il governo la principale cosa da fare per ridurre l’evasione è non dar fastidio a chi può evadere le tasse. Ora, è chiaro che il fisco in Italia è un po’ troppo invadente e che una correzione andava fatta. Ma da qui a prendere misure che sono di fatto una resa di fronte agli evasori, ce ne passa. Quella che più riflette questo approccio è il cosiddetto “concordato preventivo biennale”: contribuente e fisco si mettono d’accordo su una base imponibile che per due anni non può essere toccata. Siccome l’adesione a questo concordato è volontaria aderirà solo chi pensa di poter pagare, in questo modo, meno tasse del dovuto. Una vera resa di fronte all’evasione. Si potrà dire, come dice la sopra citata presentazione Power point che l’approccio del passato, basato su “misure repressive”, non aveva dato risultati. Ma non è vero.
Per esempio, negli anni ’80 la percentuale di evasione dell’Iva era tra il 35 e il 40 per cento.
Secondo le ultime stime (di questo governo) nel 2020 era del 19 per cento, con una riduzione di sette punti rispetto al 2015. Questo per effetto di migliori strumenti di controllo, come la fatturazione elettronica.
Come ho detto, la legge delega ha anche aspetti positivi. Tra questi l’intenzione di semplificare il nostro sistema fiscale attraverso una riduzione di deduzioni e detrazioni, l’eliminazione di micro tributi, le riduzioni di aliquote di imposizione (ma di quanto?) per le società che investono e l’introduzione di un testo unico per il fisco. Ma gli aspetti negativi prevalgono. Ah, dimenticavo, manca la riforma del catasto attesa da anni, ma dell’assenza di questa potevamo essere certi fin dall’inizio.
L’autore è senatore indipendente del gruppo Pd