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La situazione nella Striscia di Gaza ha raggiunto livelli drammatici senza precedenti. Mentre le operazioni militari si intensificano, migliaia di civili si trovano intrappolati in una spirale di violenza che sembra non conoscere fine, con la popolazione che paga il prezzo più alto del conflitto in corso.
Le autorità militari hanno ordinato l’evacuazione di circa 200.000 persone dalla parte settentrionale di Gaza, ma per molti abitanti questa richiesta è semplicemente irrealizzabile. Sara, una volontaria della Mezzaluna Rossa che vive nel campo di al-Karameh, rappresenta migliaia di persone nella stessa situazione: “Non ho altra scelta se non quella di rimanere. L’ordine di evacuazione ci dice di andare a sud, ma vivo con mia madre anziana e mia sorella. A malapena riusciamo a mangiare e spostarsi costa troppo”.
La realtà è che molte famiglie sono troppo povere, anziane o malate per lasciare le proprie case. Circa l’87% del territorio di Gaza è già stato sottoposto a ordini di evacuazione, costringendo i civili in uno spazio che rappresenta appena il 12% dell’area totale. Negli ultimi giorni, almeno 54 palestinesi hanno perso la vita, molti dei quali mentre cercavano acqua e cibo. La malnutrizione sta causando morti tra i più vulnerabili, mentre i servizi sanitari sono al collasso.
Le strutture ospedaliere ancora operative funzionano oltre la loro capacità, con un’affluenza superiore al 100%. Oltre 12.500 pazienti necessitano di evacuazione medica urgente, tra cui migliaia di bambini. La distribuzione degli aiuti umanitari è diventata un’operazione ad alto rischio: almeno 798 civili sono stati uccisi mentre cercavano cibo presso i siti di distribuzione.
Solo una media di 30 camion di aiuti al giorno riesce a entrare nel territorio, una quantità drasticamente inferiore rispetto ai bisogni di due milioni di persone. Prima del conflitto, entravano quotidianamente centinaia di camion carichi di beni essenziali.
Sul fronte diplomatico, si è finalmente raggiunto un accordo per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi dopo 15 mesi di guerra devastante. L’intesa, mediata da Qatar, Egitto e Stati Uniti, prevede tre fasi: nella prima, della durata di 42 giorni, Hamas rilascerà 33 ostaggi israeliani in cambio di oltre 1.000 detenuti palestinesi. L’accordo ha suscitato festeggiamenti sia a Gaza che in Israele, ma rimangono molte incertezze sulla sua attuazione completa.
Parallelamente alla crisi di Gaza, crescono le tensioni in Cisgiordania. Il governo israeliano sta valutando misure di annessione di parti del territorio palestinese, con alcuni ministri che spingono per dichiarare “terra statale” ulteriori aree. Recentemente sono stati requisiti 45 ettari di terra per l’espansione di insediamenti. Questi sviluppi hanno suscitato forti critiche internazionali, con gli Emirati Arabi Uniti che hanno definito l’annessione della Cisgiordania “una linea rossa da non oltrepassare”.
I più vulnerabili rimangono i bambini. Oltre un milione di minori vive in condizioni disperate, senza accesso adeguato a cibo, acqua e cure mediche. Migliaia necessitano di evacuazione medica urgente, mentre le scuole e gli ospedali pediatrici continuano a essere bersaglio di attacchi.
La popolazione civile si trova intrappolata tra le operazioni militari e l’impossibilità di fuggire verso luoghi sicuri. Le famiglie sono costrette a scelte impossibili: rimanere nelle zone di guerra o tentare evacuazioni verso aree sovraffollate e prive di servizi essenziali. Gli operatori umanitari lavorano in condizioni estremamente pericolose, spesso impossibilitati a raggiungere chi ha più bisogno di aiuto.
L’accordo per il cessate il fuoco rappresenta una speranza, ma la strada verso una pace duratura appare ancora lunga e incerta. Le questioni fondamentali riguardanti il futuro di Gaza e la ricostruzione rimangono irrisolte, mentre le tensioni politiche continuano a minacciare la stabilità dell’intera regione. Solo un impegno concreto della comunità internazionale può evitare che questa tragedia umana si protragga ulteriormente.