È stato un grande successo alla recente Lucca Comics & Games. Una scommessa ardita, vinta ben due volte: perché è uscito prima negli Stati Uniti (dove incredibilmente nessuno ci aveva mai pensato), e poi in Italia, edito da Becco Giallo. Si tratta del libro di Luca Debus e Francesco Matteuzzi, Funny Things. Una biografia a strisce su Charles M. Schulz, il racconto in strip a fumetti della vita del geniale creatore dei Peanuts.
Non era certo facile trovare il giusto tono di voce per illustrare fedelmente la storia semplice di un artista complesso. I due autori hanno saputo gestire con metodo e consapevolezza un’idea metalinguistica decisamente sfidante, con una scrittura articolata e brillante (le strisce hanno gag finali sempre di livello) e uno splendido disegno, che vive nel mondo tondo e pulito di Schulz, senza alcuna imitazione. Regalandoci una lettura animata dalla stessa magia dei Peanuts.
Chi ha avuto l’idea di questo progetto?
Matteuzzi – Sull’idea mi prendo il merito. Ultimamente ho lavorato su diverse biografie, e questo mi ha portato a considerare Schulz, di cui sono appassionato da prima di saper leggere e che ritengo sia il più influente cartoonist di sempre.
Avendolo scritto insieme, qual è stato il vostro metodo di lavoro? Dalla selezione degli eventi alla sceneggiatura e al disegno?
Debus – Abbiamo ragionato sul libro che avremmo voluto leggere noi per primi e in una prima fase abbiamo stilato una lista di eventi, aneddoti, frasi di Schulz, che per noi erano necessari al libro, con l’indicazione di ogni fonte (biografie e interviste). Con queste grandi scalette ci siamo messi a scrivere in ordine cronologico, dividendoci il lavoro, senza una struttura prefissata di spazi per argomenti.
Lo avete scritto in italiano o in inglese?
Matteuzzi – È stato scritto prima in inglese e poi in italiano alcune strisce sono state un po’ reinventate. Con il piacere, nel tradurlo, di poter liberamente mancare di rispetto agli autori.
Debus – Io ho ridisegnato moltissimi balloon. Perché l’italiano o è lungo la metà o il doppio!
Scrivere strip non è facile: saper trovare una gag finale che le animi. Come ci siete riusciti?
Matteuzzi – Il segreto è stato lavorarci in coppia. Sono pochissime le strisce in tutto il libro che sono state approvate senza l’entusiasmo di entrambi. Quando uno scriveva una striscia poteva contare sulla reazione dell’altro, un responso immediato se funzionava o meno e se poteva essere migliorata. Il finale non deve sempre far ridere, ma deve sempre arrivare.
Debus, quando ha iniziato a disegnare? E che tecnica ha usato?
Debus – Fatte salve alcune pagine per presentare il progetto ho iniziato solo dopo aver scritto l’intera sceneggiatura. A parte colori e lettering è tutto disegnato su carta, con tecnica tradizionale. Ho uno stile di inchiostrazione abbastanza particolare e col digitale non mi trovo bene.
Quanto è durato tutto il lavoro creativo?
Matteuzzi – Da quando abbiamo iniziato a ragionare sul progetto fino a quando abbiamo mandato in stampa il libro è durato intorno ai tre anni. Tutta una prima parte di documentazione e ricerca delle fonti, poi la creazione del progetto da mostrare agli editori, dopodiché la parte di scrittura intorno ai sei mesi e altrettanto la parte di disegno.
C’è un episodio biografico che vi è sembrato centrale?
Matteuzzi – Il problema della vita di Schulz è che di eventi ce ne sono stati pochissimi perché era un pigrone, non era un tipo avventuroso. A livello personale direi giusto il matrimonio, i figli, il divorzio e il secondo matrimonio. A livello professionale la vita di Schulz non è più stata la stessa forse soltanto quando è riuscito a piazzare i Peanuts. La stessa gavetta, che è stata lunga e significativa, tuttavia non è stata speciale, appartiene alla storia di molti cartoonist.
Debus – Per questo aspetto è stata fondamentale la struttura a strisce del racconto. Avendo vissuto una vita tutto sommato molto noiosa, la striscia con il suo ritmo incalzante e l’umorismo legato alla quotidianità invoglia alla lettura, nonostante succeda poco o nulla. C’è però un’intervista del 1997 con Gary Groth che mi ha sempre turbato, perché Schulz dice di pensare che fare fumetti in fondo è stato uno spreco di tempo, quasi una consapevolezza di non aver combinato nulla di buono. Trovo impossibile che Schulz potesse pensare queste cose, perciò abbiamo cercato di giocare su questa insicurezza intermittente che aveva su di sé, per poi sviscerarla nelle ultime pagine del libro, cercando di risolverla in positivo (non sapendo in effetti se sia stato davvero così, ma desiderandolo fortemente).
Com’è stato lavorare per un editore americano?
Matteuzzi – È successa una cosa molto particolare: l’editore Top Shelf ci ha dato praticamente carta bianca su tutto! Potevamo lavorarci tutto il tempo che ci pareva e il numero di pagine non era importante. Con questa libertà a un certo punto abbiamo capito che quello che piaceva a noi mettere nel libro era anche quello che era giusto per il libro. L’editore per altro ha addirittura rilanciato, proponendoci di aggiungere le tavole domenicali a colori, che noi non avevamo osato chiedergli. L’editing è stato morbidissimo sia sui testi sia sui disegni.
Come sta andando il libro negli Stati Uniti?
Matteuzzi – A livello di critica e di commenti sta andando benissimo, abbiamo avuto delle recensioni pazzesche. Non abbiamo ancora idea dei numeri, ma se ne sta parlando parecchio quindi spero bene.
Debus – Io sono andato a Santa Rosa per portare fisicamente il libro al Museo Schulz e facendo un tour dello studio ho incontrato Jeannie (la moglie di Schulz) che ha mostrato interesse per il nostro lavoro. Ci ha scritto anche la figlia di Harriet Glickman, la donna che ha suggerito a Schulz il personaggio di Franklin, felice di vedere la mamma nel libro e facendoci molti complimenti.
Un’ultima domanda: cosa vi ha insegnato questo lavoro, quanto vi ha cambiati?
Debus – Ci sono stati due momenti. Il primo dopo aver scritto il libro è un effettivo apprendimento personale: immedesimandosi in Schulz, dopo tutte queste riflessioni sull’arte e sui fumetti, ho cercato anch’io una risposta che non è definitiva, ma ha innescato una ricerca di crescita personale. Invece dopo che il libro è stato pubblicato c’è stata una grande visibilità grazie all’America, agli articoli che sono stati scritti anche sul New York Times, che offre molte più opportunità alle persone di conoscere il mio lavoro.
Matteuzzi – Io credo di aver di aver capito due cose, molto positive. La prima è che le cose si possono fare. Cioè, un libro di 400 pagine, una biografia a strisce, in questo formato mai visto prima, in senso assoluto e anche in senso pratico: lo posso fare! E il risultato è quello che volevamo. La seconda nasce dalla conoscenza del mercato italiano: un lavoro di questo tipo sarebbe stato impossibile farlo in Italia secondo i criteri dell’editoria italiana. Negli Stati Uniti non siamo conosciuti eppure la nostra proposta, inviata via mail alle 3 di notte, ha ricevuto una risposta immediata (dopo 20 minuti!) con una manifestazione di interesse e di fiducia. Ahimè, qui da noi semplicemente non succede.