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31 Luglio 2025Dazi e turismo
L’estate del 2025 in Toscana sarà probabilmente ricordata come quella dell’incertezza, non solo per il meteo. A indurre dubbi e interrogativi durante i mesi della bella stagione sono due considerazioni sul suo futuro prossimo. Il primo è quella sui dazi americani, se l’accordo stretto in Scozia tra Donald Trump e Ursula von der Leyen si tradurrà in atti concreti che per ora appaiono anch’essi dominati da diverse incognite. Le stime di Svimez sulla Toscana, riportate dal Corriere Fiorentino di ieri e che collocano la nostra regione al primo posto tra le più colpite in termini di flessione del Pil, anche se le nuove tariffe non comprendessero il settore farmaceutico, farebbero già di per sé scattare l’allarme rosso. Ma siccome i problemi sono come le ciliegie e non vengono mai da soli, il duro colpo di maglio all’export viene inferto su quella che pareva la solida incudine del turismo. I dati rilevati dall’Irpet sull’andamento del turismo nei primi mesi dell’anno trovano conferma in una tendenza sotto gli occhi di tutti e che prosegue: il settore, già provato dalla contrazione del mercato interno, mostra scricchiolii anche in una domanda estera che sembra non tradire solo le mete già in sovraccarico, come le città d’arte. Sono indizi sufficienti per ripensare un modello, quello toscano, che comunque da anni manifesta l’usura del tempo. Si tratta di due fenomeni completamente diversi tra loro per origine. Ma che paiono legati dall’insondabile eterogeneità dei fini, rischiando insieme di innescare la tempesta perfetta. I dazi sono una misura generale, ma peseranno in modo diverso in base alla struttura economica e alla vocazione produttiva dei singoli territori. Tutto questo è ovvio. Pensare però di perdere nella migliore delle ipotesi mezzo punto percentuale di Pil toscano, e nella peggiore un ancora più preoccupante 0,7%, non può essere vissuto come una semplice bizza della sorte e avrà bisogno di correttivi importanti in grado di attutire la botta, anche sotto l’aspetto occupazionale. Ma a poco servirebbero interventi tampone se sul tavolo dovesse mancare una visione strategica di spinta alla diversificazione, sia nelle scelte produttive sia in quelle dei mercati, la sola che può consentire di ripartire il rischio di fronte agli accidenti delle relazioni internazionali o di quelli ancora più imprevedibili della natura. La prova generale, superata senza che fosse capita per intero, è stata quella del Covid a proposito del turismo. Che è invece quella particolare forma di export per cui non si inviano altrove le merci, ma dall’estero arrivano a casa nostra a comprare servizi. E a differenza della assolutamente esogena questione dazi e per quanto si tratti di un fenomeno planetario non toccato dagli aumenti tariffari internazionali, la sua gestione risente delle nostre scelte. Così certe aree subiscono l’assalto dell’overtourism, mentre altre mostrano segni di flessione o mancata crescita. La Toscana sarà sì «ovunque bella», ma vedere lungo buona parte della costa gli ombrelloni chiusi diversi giorni a settimana racconta il crollo di un mito e — più prosaicamente — che non solo il mercato interno sceglie periodi di ferie più corti e spezzettati, in coincidenza di qualche festività, e soprattutto con una forte attenzione ai prezzi. Tutti segnali che consigliano un cambio di passo, prima di essere a un passo dalla crisi.
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