Sul punto di una pericolosa escalation appare invece la guerra tra Ucraina e Russia, con incursioni dei militari di Kiev ben dentro il territorio russo. Annunciando il suo ritiro dalla corsa presidenziale, Biden aveva detto di aver dato all’America un periodo di “totale pace”. In realtà, il presidente rischia di lasciare la Casa Bianca con due conflitti diventati guerra perpetua. Il 15 agosto inizierà la fase finale dei negoziati su Gaza, non si sa ancora se a Doha o al Cairo. Delegazioni di Israele e Hamas sono state invitate da Stati Uniti, Egitto e Qatar per mettere a punto gli ultimi dettagli del piano di pace, che dovrebbe prendere le mosse da quello in tre fasi annunciato a giugno da Joe Biden. Il portavoce della Casa Bianca John Kirby ha spiegato che sia Israele sia Hamas hanno chiesto alcune modifiche e riconosciuto che le parti dovranno mostrare “disponibilità al compromesso e leadership”. Secondo il quotidiano Haaretz, il nuovo leader di Hamas Yahya Sinwar sarebbe pronto a un cessate il fuoco e anche fonti israeliane dicono “ora o mai più”. Sulla possibilità della tregua pesano gli sviluppi sul campo. Il raid israeliano di venerdì su una scuola e moschea a Daraj – che secondo Hamas ha ucciso altri 100 palestinesi e che per l’Idf avrebbe invece eliminato “principalmente militanti” di Hamas e Jihad Islamica – ha infiammato il conflitto e aggiunto nuove vittime a una guerra che ha già ucciso 39.800 palestinesi. Sulla tregua pesa anche la possibile rappresaglia di Iran e Hezbollah dopo l’uccisione di Ismail Haniyeh a Teheran e di Fuad Shukr a Beirut.
Stati Uniti, Gran Bretagna Francia dicono di essere pronti a unirsi a Israele nella risposta a un attacco, che però almeno nell’immediato non dovrebbe esserci. “La nostra priorità è stabilire un cessate il fuoco duraturo a Gaza”, annuncia la missione diplomatica iraniana all’ONU. Sarebbe stato il nuovo presidente, Masoud Pezeshkian, a convincere il leader supremo Khamenei a rinviare la rappresaglia.
A conferma dell’importanza del momento, diversi funzionari Usa sono attesi nella regione. I negoziati saranno guidati, per parte americana, dal direttore della Cia William Burns.
A sigillare l’eventuale intesa potrebbe arrivare il segretario di Stato Antony Blinken. Un ulteriore sprone all’azione americana viene dall’incontro di domani tra Vladimir Putin e il presidente dell’Anp Abu Mazen. Un’ingerenza di Mosca è l’ultima cosa che Washington a questo punto vuole. Se l’esito della guerra a Gaza appare sospeso, quello tra Ucraina e Russia è sul punto di precipitare. Negli ultimi giorni militari ucraini hanno effettuato incursioni per 30 km dentro il territorio russo, nella regione di Kursk. Gli attacchi hanno provocato 31 feriti tra i civili e sono in aperta contraddizione con la richiesta USA a Kiev di usare le armi americane solo “nel caso di minacce imminenti sul confine”. L’imbarazzo dell’amministrazione risulta evidente dalla dichiarazione della portavoce di Biden, Karine Jean-Pierre, che dice di “non avere conoscenza” di quanto sta avvenendo. Venerdi la Casa Bianca ha stanziato altri 125 milioni di dollari in armi per Kiev. Quei soldi alimentano un conflitto che, quasi certamente, diventerà uno dei problemi più gravi e urgenti del nuovo presidente USA.