“ALL THE BEAUTY AND THE BLOODSHED’
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11 Settembre 2022di Viviana Mazza
Lauren Oyler è nota per le sue recensioni spietate (e divertenti) su «London Review of Books», «New Yorker», «Bookform», «New York Times Magazine», «Harper’s» . Ha demolito, tra l’altro, autrici millennial come Kristen Roupenian, per la raccolta che include Cat Person (il famoso racconto su una notte di sesso diventato «virale» sul «New Yorker»), e Jia Tolentino, per la sua collezione di saggi Trick Mirror. Tolentino dichiarò su Twitter che era stata «un’esperienza purificante essere letta con tale aperto disgusto», mentre Roupenian rispose che l’articolo non la ferì come avevano fatto altri, poiché si vedeva che il suo libro era stato letto con attenzione. «Comunque, erano pezzi ampi che spiegavano che cosa quei libri riuscivano a fare e in che cosa fallivano», dice Oyler a «la Lettura», «e io credo che, come scrittore, ti senti fortunato a ricevere così tanta attenzione. È molto peggio un articolo di 500 parole che dice solo: il libro è brutto, non leggerlo. Ti senti rapinato».
Oyler si affaccia su zoom per parlare del suo primo romanzo, Fake Accounts, uscito in America nel febbraio 2021 e pochi giorni fa in Italia per Bompiani. Nonostante le rubriche letterarie di vari giornali americani avessero preannunciato che tutto quello che la ragazza di Hurricane (la sua città natia in West Virginia dal nome memorabile) aveva scritto nelle sue recensioni sarebbe stato usato contro di lei, l’accoglienza è stata molto positiva, anche se la pandemia ha finora frenato i book tour. Nelle sue, di recensioni, Oyler disprezza l’autofiction (nel senso di autoreferenzialità fine a sé stessa che non aiuta a capire il mondo) e la banalità della frammentarietà stilistica usata troppo spesso nella narrativa contemporanea per riflettere «il nostro tempo». Si è espressa anche contro il dirottamento opportunista del movimento femminista da parte di «donne ricche e bianche che non soffrono affatto». Nel romanzo questi temi ritornano, sotto forma di satira. Scritto durante l’elezione di Donald Trump nel 2016, Fake Accounts ha una narratrice senza nome che come Oyler ha lavorato per un sito femminista di New York, come Oyler ha un profilo Twitter che la ritrae imbronciata con i capelli sugli occhi, come Oyler va a vivere a Berlino. (Ma non è Oyler. E scopre che il fidanzato gestisce segretamente un profilo Instagram di teorie cospirative.)
In che modo questo libro fa parte del genere letterario delle «internet novel», dei romanzi su internet?
«Il mio libro e quello della mia amica Patricia Lockwood (Nessuno ne parla, Mondadori, 2022, ndr) sono usciti a due settimane di distanza l’uno dall’altro e hanno cristallizzato il genere della internet novel. Non che prima non esistessero. Ma io cerco di chiarire che i confini tra la vita online e la cosiddetta vita reale sono porosi e non c’è una vera distinzione. Se si può parlare di un nuovo genere di internet novel, io credo che cerchi di demolire quel tipo di barriera immaginaria tra internet e la realtà, perché non è più qualcosa di funzionale. Il romanzo mostra come le persone nella vita imitino quello che succede nella loro esistenza online».
Il romanzo si intitola «Fake Accounts». Falsi profili, come quello del fidanzato cospirazionista della narratrice. Falsi racconti, come quelli che lei crea per presentarsi agli altri. Come dice la scrittrice e umorista Fran Leibowitz, «non c’è dubbio che i ventenni di oggi siano molto più apertamente sinceri delle passate generazioni, come non c’è dubbio che la loro sincerità sia falsa quanto lo era la nostra vecchia ironia».
«Se passi tutto il giorno su internet a inventare personalità false e ad abusare delle persone, questa è davvero la tua vita, è così che passi il tuo tempo; non significa che tu sia quelle persone inventate ma hai scelto di condurre così la tua vita quattordici ore al giorno mentendo su internet. È vero anche che puoi estrarre delle verità dalle menzogne che trovi su internet, sempre che tu sia in grado di interpretarle. La narratrice è così immersa in questa modalità paranoica che diventa cieca di fronte a cose che sono direttamente davanti ai suoi occhi».
In che modo la sua voce di narratrice somiglia a quella di critica letteraria?
«Ci sono sovrapposizioni. In parte è intenzionale: volevo giocare, volevo che le persone vedessero che l’avatar della narratrice su Twitter è lo stesso del mio e che ha alcune cose in comune con me. È un gioco ma anche una trappola, perché un critico non scrupoloso ci vedra subito una proiezione di me stessa, ma non è così. Sicuramente, comunque, la narratrice esprime in modo aggressivo e aspro cose che io penserei ma non scriverei. In ogni caso, è importante per il lettore di questo romanzo immaginare di avere accesso ai pensieri di questo personaggio e persino di conoscerlo, anche se alla fine appare chiaro che in realtà non sa molto di lei. La narratrice condivide così tanto materiale apparentemente intimo su di sé — che è quello che accade sui social media — che ti fa credere di conoscerla, di essere un insider. E sono stata felice di giocare e sacrificare parte della mia persona per questo fine».
Lei come scrittrice offre al lettore una pretesa di intimità in modo che le persone possano fidarsi della sua narratrice. Allo stesso modo, la narratrice spiega all’inizio del libro di condividere con completi estranei fatti apparentemente privati — come la cotta per qualcuno — di cui in realtà le importa poco, in modo di assicurarsi la loro fiducia.
«È la vulnerabilità. Mostrare la propria vulnerabilità è una cosa molto popolare oggi nella psicologia pop, nei manuali di auto-aiuto e nella scrittura femminista. È considerata una cosa coraggiosa divulgare certe cose. Ma alla narratrice non importa diffondere queste informazioni e poi, con il tempo, ti accorgi che nasconde molti sentimenti, non rivela tutto».
Credere a una sola fonte, nella politica e nel modo in cui si consumano le notizie, allontana dalla verità. Ad agosto un giovane utente del social «Truth» di Donald Trump, dopo il blitz dell’Fbi alla residenza dell’ex presidente in Florida (dove sono stati requisiti documenti classificati sottratti illegalmente agli Archivi nazionali), si è convinto che sia iniziata in America una nuova guerra civile, ha assaltato una sede dell’agenzia federale ed è stato ucciso.
«I personaggi del mio romanzo reagiscono a un ambiente mediatico in cui tutto è presentato come fosse importante, urgente e significativo, ma in realtà non conta nulla e non ci sono barriere contro i comportamenti sbagliati, che si tratti di mentire o di propagare teorie complottiste su internet. È significativo che questo libro sia stato scritto quando Trump è diventato presidente: non è il focus principale del romanzo, ma ha creato uno stato d’animo di assurda futilità, e ha consentito a questo estremismo, nel senso ampio del termine, di infiltrare la buona società in un modo che prima non era così evidente».
Il romanzo mostra che questo estremismo riguarda tutti noi.
«Quel che è interessante a proposito del fidanzato della narratrice, Felix, è se creda davvero o no alle teorie complottiste che diffonde. È un tipo normale, un millennial precario ma creativo, istruito. È un tipo da Brooklyn gentrificata. Dal momento che è così normale, non riesci a credere che ci creda, ma una risposta non c’è».
La menzogna è eccitante, erotica per i suoi personaggi.
«Solo creando delle personalità online riescono a rendere le loro vite multidimensionali. La protagonista non riesce a vedere le sfaccettature delle persone che la circondano, e questo contribuisce a renderla alienata e depressa e a spingerla a costruire schemi elaborati per fuggire alla propria alienazione».
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