Lontano non dal cuore
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25 Settembre 2022Il giudice Giovanni Tamburino nella sua biografia tratteggia il Paese che ha indagato e che siamo stati: tra servizi, logge, depistaggi
di Benedetta Tobagi
La vita professionale del magistrato Giovanni Tamburino è costellata di circostanze degne di un romanzo. Da giovane giudice istruttore, a Padova, a partire dalla fine del 1973 si trova a investigare sulla Rosa dei Venti, un network occulto che connetteva militari, ufficiali d’intelligence, militanti dell’area eversiva neofascista e industriali conservatori in veste di finanziatori: una delle trame più complesse e insieme rivelatrici della strategia della tensione. Nell’autunno del ’ 74, l’inchiesta lambisce i vertici dei servizi e fa balenare l’esistenza di una segretissima “organizzazione X” incistata all’interno dell’intelligence ufficiale ( nel 1990 Andreotti cercò di appiattirla su Gladio, ma studi recenti hanno mostrato come corrisponda piuttosto a soggetti come i Nuclei di Difesa dello Stato, la cui storia s’intreccia alle vicende stragiste sin da piazza Fontana). Allora la procura romana, il famigerato “ porto delle nebbie”, interviene per avocarla a sé — pratica assai frequente, in quegli anni — così le piste d’indagine più esplosive finiscono di fatto nel nulla. Nel 1980, passato all’incarico di magistrato di sorveglianza, Tamburino si trova per caso a raccogliere le dichiarazioni di un detenuto vicino alla destra eversiva che risulteranno essere una sconcertante anticipazione della strage di Bologna, finita purtroppo nel calderone dei depistaggi dei servizi segreti; questa circostanza ha reso l’ex giudice un testimone d’accusa nel recente “ processo ai mandanti” per la bomba del 2 agosto. È dunque particolarmente felice la sua scelta di costruire il volume Dietro tutte le trame intrecciando alla ricostruzione dei fatti, basata su documentazione in buona parte inedita o a lungo trascurata, il racconto autobiografico, che restituisce le impressioni, i dubbi e lo sconcerto di un giovane servitore dello Stato che si trova all’improvviso faccia a faccia con la dimensione occulta e brutale del potere.
Il tema centrale del saggio è infattiuna dolente riflessione sulla“zona grigia”, espressione con cui l’autore designa il livello in cui si realizza un contatto tra esponenti politici, interessi economici e soggetti propriamente criminali, che «protegge il tessuto criminale e lo tiene in salute ricavandone a sua volta alimento, in una relazione di circolarità » . Una dimensione complessa e scomoda da trattare; la ricerca se ne occupa poco, complice la sistematica carenza di documenti e informazioni, dovuta anche al fatto che la “zona grigia” elude spesso e volentieri le maglie della giustizia penale: un’impunità che rischia di tradursi in un assai comodo oblio storiografico ( complice l’atteggiamento di chi tende a scaricare temi come questo in modo indiscriminato nel calderone delle vituperate “dietrologie”).
La seconda parte del saggio si concentra sulla figura del principe siciliano Gianfranco Alliata di Montereale evocato nel sottotitolo, in cui Tamburino si era imbattuto indagando sulla Rosa dei Venti. Deputato monarchico, fervente anticomunista e massone influentissimo, con stretti legami coi fratelli delle grandi logge statunitensi e con la créme dei professionisti legati a Cosa Nostra, dal banchiere Sindona al commercialista dei boss Mandalari, Alliata appare una figura perfetta per scandagliare, per quanto possibile, la dimensione occulta del potere di cui sopra.
Ancora animato da quell’“ insana sete di giustizia” stigmatizzata a suo tempo dal principe, studiando l’archivio personale che lo stesso Alliata ha versato alla Camera dei Deputati, l’ex magistrato riprende le fila di un’indagine di cui, all’epoca, non si potevano scorgere le vaste implicazioni, emerse soltanto da successive indagini di mafia. A partire dal massacro di lavoratori a Portella della Ginestra il 1 maggio ’ 47, Alliata si rivela come uno dei perni di quelle trame invisibili a cui ben si prestano varie logge massoniche e loro emanazioni, in particolare al sud. Su tutte, giganteggia il profilo del network di potere occulto per eccellenza, la loggia massonica P2, di cui Tamburino si occupa a lungo.
Accanto ai legami col terrorismo nero, pungola il lettore a riflettere su quanto il sistema di potere piduista, all’acme della propria espansione, tra il 1979 e l’ 80, abbia di fatto beneficiato di alcuni delitti eccellenti compiuti anche dai brigatisti rossi e gruppi affini. Il saggio sollecita dunque una riflessione, perturbante, ma credo necessaria, sul potenziale di strumentalizzazione a cui si prestano gruppi e azioni terroristiche ( che possono ben esserne scarsamente o del tutto inconsapevoli, nelle loro componenti maggioritarie), senza bisogno di evocare di eterodirezioni o bizzarri complotti. Parafrasando l’Amleto, Tamburino ricorda che ci sono più cose nella nostra storia recente di quante ne voglia finora riconoscere molta storiografia, e vale la pena provare a ragionarci sopra, per capire meglio le dinamiche e gli intrecci tra criminalità a potere.