In questo preciso momento, le spese per la Difesa sono un tema particolarmente delicato nel nostro paese. Draghi smentisce in parte anche Giancarlo Giorgetti, che solo il giorno prima aveva chiarito che non ci sono le risorse per arrivare al 2%. Tanto che ieri a Budapest tocca alla premier, Giorgia Meloni, barcamenarsi: “Sono assolutamente convinta che l’Europa, e quindi anche l’Italia, debbano riuscire a garantire una loro maggiore indipendenza, una maggiore autonomia, anche investendo di più in Difesa, ma chiaramente servono gli strumenti per poterlo fare. Ci sono nel nuovo Patto di Stabilità delle aperture, ma secondo me va fatto molto di più. Di certo, l’ unica cosa che non sono disposta a fare è prendermela con i cittadini italiani, i lavoratori. Noi spendiamo le risorse su priorità reali”.
Non a caso a rispondere all’ex premier in maniera diretta è il viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli (FdI): “Draghi non aveva il Patto di stabilità, ora è facile parlare. Il tema è che abbiamo in eredità un forte carico di interessi passivi: con i tassi della Bce più alti, con il Patto che si è ristretto, per fare nuovi investimenti importanti serve essere più flessibili. E comunque, il dossier delle spese militari andrà affrontato non dai singoli Stati, ma dalla Ue”.
Lo stop a Draghi appare necessario per evitare che la sua voce sia confusa con quella dell’Italia. Eppure, a dire di sì all’aumento al 2% era stato giovedì Guido Crosetto. Così come il suo predecessore al ministero della Difesa, Lorenzo Guerini, lo stesso giorno, aveva ribadito la necessità di aumentare le spese militari. Anche lui non esattamente allineato con il resto del Pd ha sempre detto che “bisogna rispettare gli impegni già presi”. Mentre Elly Schlein, esprimendosi sul punto, ormai più di un anno fa, si era detta favorevole, intanto, a un rinvio dell’obiettivo.
In questi giorni, comunque, sul punto tace. Ha sempre avuto una posizione diversa: costruire una Difesa comune. Perché, per dirla con il dem Stefano Graziano, deputato della commissione Difesa, è anche un modo “per rendere più efficiente il sistema degli eserciti nazionali e risparmiare economicamente”. Solo di questo aspetto, infatti, ha parlato anche il responsabile Esteri dem, Peppe Provenzano.
Ironia della sorte ha voluto che nelle ore in cui la segretaria del Pd andava a trovare Draghi, martedì, Laura Boldrini, alla Camera, chiedeva animatamente spiegazioni a Guerini proprio sulle spese per la difesa. “Devo però spiegarti come funziona il bilancio dello Stato”, rispondeva lui, con aplomb democristiano.
Quel che è certo è che il tema non è di quelli facili da affrontare e potrebbe avere come effetto anche quello di rimescolare le diverse sfumature di atlantismo. Draghi, che non è certo un amico di Trump, con le sue affermazioni di ieri, prendendo atto della posizione del neo eletto presidente degli States, va anche incontro alle sue richieste, mentre disegna una traiettoria per l’Europa, prefigurandola non solo con un esercito comune, ma anche più armata.
I suoi rapporti passati con la Meloni, proprio per cercare di tenerla nei binari dell’atlantismo agli esordi a Palazzo Chigi sono noti. Non è passato inosservato l’incontro con Marina Berlusconi. E aver ricevuto a casa sua ai Parioli la Schlein, alla vigilia di un momento epocale, fa pensare che alcuni ragionamenti siano stati almeno affrontati.
Nel frattempo, va detto che Mark Rutte, il Segretario generale della Nato, ha più volte ammesso che la percentuale pattuita in seno all’Alleanza ormai 20 anni fa non basterà per finanziare i piani di difesa regionali approvati dalla Nato. Tanto che nelle ultime riunioni dell’Alleanza si è parlato anche del 2,5% del Pil. Dunque, ogni patto potrebbe rivelarsi superato dagli eventi.