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17 Luglio 2022A Senigallia dodici ore di incontri, film e installazioni per affrontare la complessità contemporanea. Ospite d’onore Mario Botta
di Annarita Briganti
Una notte dedicata all’architettura, alle arti e al design: è la XII edizione di Demanio Marittimo.KM-278 a Marzocca di Senigallia dalle 6 di pomeriggio del 22 luglio alle 6 del mattino del 23 luglio. Dodici ore di incontri, presentazioni, performance, film, installazioni per affrontare la complessità contemporanea, confermando la spiaggia come spazio reale, luogo di accoglienza e di scambio, zona franca nella quale costruire il dibattito tra addetti ai lavori e il pubblico. Una maratona voluta da Cristiana Colli e Pippo Ciorra, che ha curato con Margherita Guccione la mostra dedicata a Mario Botta al MAXXI di Roma, sul sacro, cifra del grande architetto, e sul profano (fino al 23 ottobre).
Progettista svizzero di fama mondiale, Botta ha realizzato, tra le sue opere, il SFMoMA – il Museo di Arte Moderna di San Francisco, il Museo Jean Tinguely a Basilea e il Mart di Rovereto. È ideatore e fondatore dell’Accademia di Architettura di Mendrisio, protagonista di questa edizione di Demanio. E sta costruendo una chiesa a Leopoli, nonostante la guerra che distrugge le città e quindi noi stessi, come direbbe l’architetto, che ci anticipa i contenuti dei suoi interventi alla manifestazione.
Architetto Botta, a Demanio parlerà anche della sua mostra al MAXXI, tra i partner dell’iniziativa.
«Ho interpretato il grande impegno di fronte alle preoccupazioni del vivere, tra pandemia e guerra. La cultura moderna si dimostra sempre più fragile. Il tema sacro e profano è di grande attualità. Le arti oggi più che mai dovrebbero insistere sul sacro in contrapposizione al profano. Sono due termini che si compenetrano reciprocamente. Non c’è sacro senza il profano e c’è un po’ di profano nel sacro».
Cosa dovrebbe fare l’architettura in questo passaggio della Storia?
«Viviamo in una società fragile in tutti i sensi. Una società disattenta, sbadata, che rincorre le mode, il successo, dimenticando qual è il compito dell’architetto, dell’artista: quello di testimoniare il proprio tempo. Pensiamo aGuernica di Pablo Picasso. L’architettura dovrebbe riflettere sul senso del fare, del vivere. Una riflessione opportuna anche per capire noi stessi».
Tra il sacro e il profano scegliamo sempre il sacro?
«Il sacro evidenzia come il nostro compito sia quello di proporre dei valori in contrapposizione ai non valori, all’effimero che la società dei consumi ci ha contrabbandato. A Leopoli mi sono trovato in mezzo alla guerra. Il progetto per la chiesa greco-ortodossa che sto realizzandolì, commissionato dalla Compagnia di Don Orione, è iniziato una decina di anni fa. Pensavo che interrompessero i lavori e invece gli ucraini hanno deciso di andare avanti. Ogni tanto mi mandano dei video sul telefono: ci sono le sirene dei bombardamenti in sottofondo.
Per dorare il cupolino hanno fatto una colletta, donando i loro gioielli, c’è chi ha dato perfino i denti d’oro.
L’architettura stessa è sacra perché trasforma la natura in cultura».
Costruire invece di distruggere.
«Essendo nato nel ‘43, faccio parte di una generazione che ha visto la barbarie. Mai avrei immaginato di fare i conti con un’altra guerra. La città è la forma del vivere collettivo.
La forma della città ancora oggi è laforma di aggregazione umana più performante, più bella, più intelligente che l’umanità abbia creato. Distruggere le città vuol dire distruggere noi stessi».
Che tipo di Accademia è quella di Mendrisio, coinvolta come dicevamo anche in Demanio?
«L’ho fondata nel 1996 e volutamente l’ho chiamata Accademia, per studiare l’architettura anche dal punto di vista umanistico, per recuperare la cultura mediterranea.
Avevo chiamato uno scienziato francese, Albert Jacquard, scomparso nel 2013, per parlare della centralità dell’essere umano dal punto di vista biologico: cos’è l’uomo di fronte alla complessità dell’ecologia, del vivere. A un matematico ho chiesto di aiutarci a conoscere le idee. È una scuola con un approccio nuovo, che cerca di rompere il meccanismo funzionale dell’architettura che non è solo funzionalità, non è solo business, riportando l’essere umano al centro della creatività, del pensiero e anche dei problemi da risolvere. Ci sono studenti da cinquanta Paesi diversi, palestinesi e israeliani, dall’America Latina e dall’Estremo Oriente».
Quali consigli darebbe ai giovani che volessero diventare Mario Botta?
«Fare l’architetto è un mestiere difficilissimo. È anche pensiero e quindi alla base del mio lavoro ci sono la complessità e le contraddizioni del vivere oggi. È difficile trovare momenti di poesia, d’illuminazione rispetto alla società che ci corre accanto. Ci vuole una grande forza morale».