L’inferno della ThyssenKrupp. Crolla una gru, morti tre operai
di Paolo Griseri
Dall’inizio del nuovo secolo, anche a Torino, gli operai fanno notizia solo da morti. Certo, l’espressione è cruda. Ma è drammaticamente reale. Negli ultimi decenni si è parlato del lavoro di Torino per la Thyssen, per il crollo della gru di via Genova, ora per l’incidente ferroviario di Brandizzo. Torino, la capitale italiana del lavoro, è diventata la città dei funerali, della disperazione dei parenti delle vittime, dei balbettii (quando non delle fughe dalle responsabilità) di chi aveva la responsabilità di fabbriche, cantieri, infrastrutture. Poi cala il silenzio. Come se il lavoro di Torino fosse un’attività al tramonto che rispecchia nelle esequie dei suoi protagonisti la fine della centralità che avevano avuto nel Novecento. Come se ai cortei di protesta degli anni Settanta si fossero sostituiti i cortei funebri.
Naturalmente non è così. Non è affatto così. Il lavoro operaio torinese esiste e rappresenta tuttora la parte preponderante del Pil della città metropolitana. Certamente rappresenta la parte più consistente delle tasse versate in questa parte d’Italia. Meriterebbe anche solo per questo, un po’ più di rispetto. La tendenza a relegare il lavoro operaio nelle pagine di cronaca prosegue da molti anni e non solo a Torino. Come se chi lavora in fabbriche, uffici, cantieri, non fosse interessante per ciò che fa e che pensa. Ma solo quando disturba la routine quotidiana, quando, come diciamo in gergo noi giornalisti, entra nel nastro delle notizie di giornata. Fateci caso: in quale talk show televisivo vengono invitati gli operai? In nessuno. Anche quando si parla di loro. Facciamo un esempio legato al territorio torinese. Per decenni nei salotti delle tv nazionali si è parlato di Tav, dei pro e dei contro dell’opera. Si è fatta filosofia, si sono invitati politici, pensatori, poeti. In molti casi persone che non hanno la minima idea di dove si trovi l’opera, come sarà costruita, con quali caratteristiche e conseguenze concrete. Perché quello che conta in questi casi non è discutere nel merito di progetti, proposte. Quello che conta è, come si dice, far girare il ventilatore della politica, posizionarsi mezzo centimetro più a destra o più a sinistra del partito vicino. Non troverete in questi talk show, in questi dibattiti serali, un solo operaio che lavora materialmente in quei cantieri. Il suo parere non interessa, anzi potrebbe addirittura disturbare i manovratori dei partiti che hanno preparato da tempo teorie granitiche da non mettere in discussione con i testimoni della realtà. A questo giornale va il merito, negli anni, di aver provato a dare voce a chi lavora nei cantieri, a raccontarci la loro vita, le loro aspettative, le loro difficoltà. Ma anche la bellezza di un lavoro che costruisce, realizza, dà un senso alla giornata.
Certo non è sempre così. Il lavoro dei rider, il cottimo per ogni pizza consegnata, non è il massimo della realizzazione. E anche nelle fabbriche e nei cantieri ci sono attività di routine e poco gratificanti. Quella che viene ignorata è la dimensione di vita degli operai e in generale di chi lavora: milioni di persone che realizzano, si impegnano, costruiscono il loro avvenire e una parte significativa di quello del Paese. Invisibili. Facevano notizia quando erano un soggetto collettivo e dunque politico. Oggi proprio coloro che criticavano questa caratteristica del movimento operaio del Novecento (ricordate le polemiche contro il sindacato che fa politica?) oggi hanno cassato il lavoro dal dibattito quotidiano. E anzi si lamentano perché “il sindacato non conta più nulla”.
Non saranno, purtroppo, le analisi di queste ore a far tornare centrale la questione del lavoro nella discussione pubblica. Se andrà bene serviranno, forse, a migliorare i sistemi di sicurezza. Serve invece un cambio di atteggiamento, una profonda rivalutazione del lavoro operaio che è poi quello che fa marciare l’Italia. Se questo cambio atteggiamento non parte da Torino (dove gli operai sono ancora decine di migliaia) da dove deve partire? L’alternativa è rimanere fermi all’oggi, all’operaio-cronaca che fa notizia solo quando muore. Allora meglio, molto meglio, non sentir più parlare di loro.