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20 Marzo 2023«Sediamoci senza pregiudizi e ripartiamo dal ddl Zan»
di Adriana Logroscino
Mulè: ma no alla maternità surrogata
Roma «Ricominciamo dal ddl Zan, integrandolo in modo da tutelare i figli nati da relazioni precedenti. E vediamo dove arriviamo, ognuno con la sua sensibilità e senza pregiudizi ideologici». Giorgio Mulè, esponente di lungo corso di Forza Italia e, in questa legislatura, vicepresidente della Camera, esprime spesso posizioni autonome, a volte anche critiche nei confronti degli alleati. Sui diritti propone di ragionare nel merito. Con dei paletti molto chiari, però.
Onorevole Mulè, Forza Italia si è sempre distinta dal resto del centrodestra per posizioni più liberali sui diritti. Vi state interrogando su come tutelare i diritti dei figli di coppie omogenitoriali, dopo lo stop alle registrazioni?
«Iniziamo col dire che i diritti sono e devono essere uguali per tutti: coppie omosessuali e coppie eterosessuali. Inoltre quando si parla di questi temi, non c’è dottrina di partito che tenga. Vale la coscienza di ciascuno».
La sua posizione riguardo alla registrazione dei figli di coppie dello stesso sesso?
«I figli di madri surrogate sono figli di un delitto contro le donne. Figli di un atto di egoismo, che si compie dietro compenso, che viola non solo la legge dello Stato ma anche le leggi divine. Per questo è giusto che venga previsto come crimine internazionale».
È d’accordo con Fabio Rampelli che in tv ha detto che le coppie omosessuali che chiedono la registrazione di un bambino «spacciano un figlio per proprio»?
«Quello di Rampelli è stato un incidente lessicale. Ma se siamo tutti consapevoli che i figli non si trovano sotto il cavolo né li porta la cicogna, evidentemente colui che viene presentato come il figlio di una coppia omosessuale sarà frutto di una maternità surrogata».
Non se ha due madri.
«Il principio rimane lo stesso. I figli nascono da un uomo e una donna che svolgono una essenziale funzione complementare».
Le tutele
Modifichiamo quel testo e inseriamo la tutela dei bimbi nati da precedenti relazioni che vivono
con due genitori
dello stesso sesso
Ma per quei bambini che sono già stati messi al mondo e che ora vengono privati di un diritto, non dovreste cercare una soluzione?
«Soluzione che non può essere quella di una specie di sanatoria ex post. Sarebbe come cedere a un ricatto: tu vai all’estero e aggiri le nostre leggi e poi, quando torni, pretendi che ti si riconosca il fatto compiuto».
Rimane il problema dei diritti dei bambini.
«Noi siamo stati e siamo pronti ad andare incontro alle coppie diverse da quelle previste dall’articolo 29 della Costituzione, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. Per questo dico sediamoci intorno a un tavolo, discutiamo, ripartiamo dal ddl Zan. Prima però liberiamoci del pregiudizio per cui da un lato c’è chi è a favore dei diritti, dall’altro gli omofobi. Questa non è una premessa a partire dalla quale si può discutere».
Il ddl Zan, però, peraltro affossato in Aula, non si occupava dei diritti dei bambini.
«Il ddl Zan è stato affossato perché si basava su presupposti ideologici e introduceva, ad esempio, la teoria del gender fluid a scuola. Riprendiamolo, modifichiamolo. Inseriamo la tutela dei diritti dei bambini nati da precedenti relazioni e che si trovino a vivere con due persone dello stesso sesso unite civilmente. Sarei favorevole».
E sarebbe favorevole all’adozione per le coppie gay?
«Personalmente sono contrario. Forse quei bambini potrebbero crescere bene? Non mi sento di sperimentarlo sulla loro pelle».
Sui territori
Trascrizioni, i sindaci si alleano e fanno rete
«Noi siamo pronti, adesso serve una legge»
di Lorenzo Salvia
Il pressing da Torino a Roma. Lepore: qui continuiamo a registrare, ma il vuoto c’è
ROMA In Parlamento la maggioranza è dall’altra parte. Ma sul territorio c’è una rete di sindaci, essenzialmente del Pd, che comincia a fare pressing sul riconoscimento dei figli di coppie omogenitoriali. Una rete informale, nata dal confronto su questioni concrete, come spesso accade a chi ha il difficile compito di amministrare una città. Ma che ha anche un significato tutto politico.
Alla manifestazione di Milano il sindaco Giuseppe Sala aveva detto di essere pronto a ripartire con le firme dei certificati di riconoscimento «se il Parlamento riapre il dialogo». Da Milano a Roma la linea non cambia. Il sindaco Roberto Gualtieri sottolinea la «necessità di una legge nazionale che riconosca alla nascita i diritti per i bambini delle famiglie arcobaleno. Mi impegnerò affinché anche Roma faccia la sua parte in questa battaglia di civiltà». Poi, ecco la rete: «Sono in contatto con gli altri sindaci per capire insieme quali azioni collettive portare avanti». A spiegare qualcosa in più è il primo cittadino di Bologna, Matteo Lepore: «Ci sentiamo da mesi con diversi colleghi anche perché la mancanza di una legge porta ad avere una giurisprudenza non omogenea». Un esempio? «Noi continuiamo a trascrivere senza problemi, anche se lo facciamo solo per figli di madri residenti nel Comune. Ci assumiamo le nostre responsabilità ma il vuoto normativo va colmato subito». Nel 2018 Firenze era stata tra le prime città italiane a partire con i riconoscimenti. E il sindaco Nardella lo rivendica: «Quindi non solo siamo pronti a ripartire ma chiediamo che il Parlamento legiferi adeguandosi ai criteri europei». Poi attacca il governo: «Sono per il riconoscimento dei diritti nell’interesse superiore dei minori, contro la deriva discriminatoria e di negazione intrapresa dall’esecutivo».
Anche Torino ha dovuto interrompere le trascrizioni, «l’ennesima conferma — secondo il sindaco Stefano Lo Russo — che la legge italiana non considera bambine e bambini in modo eguale». Lo Russo racconta di «aver attivato tutte le risorse della città» per trovare una soluzione ma ormai è «diventato semplicemente impossibile proseguire nel tentativo di tutelare e rispettare quelle bambine e quei bambini». E torniamo alla rete: «Serve un’alleanza tra sindaci, un fronte unito per chiedere al Parlamento di risolvere in fretta una situazione inaccettabile. È una questione di civiltà».
Antonio De Caro, sindaco di Bari e presidente dell’Associazione dei Comuni, dice di essere «personalmente vicino alle posizioni del collega Sala». E spiega: «In più occasioni mi sono ritrovato nella stessa situazione, quella in cui ci si rende conto che la società si evolve più velocemente della legislazione». E nella rete la pensano tutti così.