Evitare lo scontro diretto. Almeno finché si può. Dopo un weekend di fuoco e fiamme e polemiche incrociate, mentre Giorgia Meloni continua a scansare accuratamente l’argomento giustizia, come ha fatto ieri in Lettonia, l’Anm lancia segnali di tregua al governo, nell’auspicio di non tornare indietro agli anni durissimi della guerra senza quartiere tra la destra italiana e la magistratura. Erano altri tempi, si dirà, e sicuramente erano un’altra destra e un’altra magistratura, ma certi riflessi condizionati sono duri a morire e si riaffacciano a cadenza periodica. Adesso in ballo c’è una riforma della giustizia annunciata come storica ma che, sin qui, è ancora molto vaga e, soprattutto, non proprio imminente.

«DA PARTE NOSTRA nessuna volontà di scontro, né ce ne sarà nel futuro. Se poi per scontro si intende esercitare un diritto di critica tecnica, l’equivoco non dipende da noi», ha detto il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia su Sky. «Quello che è accaduto negli ultimi giorni non c’entra niente con il ddl Nordio – ha aggiunto -. Abbiamo espresso riserve critiche, le abbiamo tecnicamente sostenute, non c’è nessuna invasione di campo, nessun potere di veto. Non ci ergiamo a partito politico, parliamo del nostro settore».

La premier, che a parte veloci punti stampa da settimane evita un vero e proprio confronto con i giornalisti, dopo il bilaterale a Riga con il premier lettone evita ancora di rispondere: «Sono molto in ritardo – si giustifica – Faremo un punto stampa su tutto alla fine del vertice Nato». Non una parola sull’attacco «anonimo» del governo alle toghe né sulle agghiaccianti parole di La Russa.

VERO È CHE DALLE PARTI di Meloni gli inciampi giudiziari della settimana scorsa (Santanchè e Delmastro, ai quali si è aggiunta la sortita del presidente del Senato) sono stati vissuti come un agguato, ma si tratta di vicende circostanziate, slegate tra loro e frutto più che altro della maniera spregiudicata con cui la destra sta portando avanti le sue attività negli ultimi mesi, passati più a ribadire chi ha vinto le elezioni che a cercare di fare politica. Giù fino alle assurdità della settimana scorsa, quando è stata diffusa la velina firmata da «fonti di Palazzo Chigi» e poi, dal ministero della Giustizia, sono state fatte filtrare proposte legate direttamente alle disavventure della ministra Santanchè (il divieto di pubblicare gli avvisi di garanzia) e del sottosegretario Delmastro (la revisione dell’imputazione coatta imposta dai giudici ai pm).

Sul ddl Nordio, peraltro, da parte dell’Anm sono arrivate critiche circostanziate, alle quali nessuno si è ancora degnato di rispondere. Nella maggioranza, infatti, ci si concentra sulle vecchie accuse alla magistratura troppo «ingerente». Fa più rumore, casomai, l’endorsement a Nordio del costituzionalista Sabino Cassese: «Ritengo che sia un inizio. Le riforme non si fanno contro qualcuno, si fanno per dare una giustizia sollecita ai cittadini», ha detto ad Agorà Estate su Raitre.

«LA RIFORMA DI CUI stiamo parlando è assai modesta nei suoi contenuti, non è una palingenesi del sistema e non aiuterà la giustizia, non affronta il tema del miglioramento del servizio», ha però concluso Santalucia. Concetti simili erano stati espressi ieri mattina a Radio Anch’io da Salvatore Casciaro, che dell’Anm è segretario: «L’Anm forse sarà parsa dura nei contenuti ma si trattava di affermare determinati principi: c’è giudice che fa il suo lavoro con coscienza, si occupa di un fascicolo che casualmente riguarda un politico e assume una determinata decisione. Poi filtra una nota di Palazzo Chigi e di via Arenula che parla di magistrati che scendono in campo e svolgono azione politica a fianco dell’opposizione, è un falso che mina la fiducia dei cittadini nella magistratura».

DEI DUE GIORNI di comitato direttivo centrale dell’Anm solo il primo è stato dedicato a rispondere agli attacchi del governo, mentre domenica ci si è concentrati sugli aspetti tecnici della riforma, o quantomeno delle proposte già avanzate che, secondo le intenzioni di Nordio, sarebbero solo la prima parte di una revisione complessiva del sistema giudiziario italiano. Vorrebbe dire riscrivere una parte della Costituzione, cosa che negli ultimi trent’anni molti governi si sono messi in testa ma che assai raramente è finita con un successo pieno.