«Come possiamo temere i terrori dell’inferno/ora che riposiamo nelle mani di Gesù?» – cantano in un originalissimo recitativo a quattro voci il soprano, il contralto, il tenore e il basso. «Morte, diavolo, peccato e inferno egli ha per sempre sconfitto» – risponde il coro con un corale in si minore omofonico e brillante, «Nun seid ihr wohl gerächen» («Ora siete stati vendicati»), illuminato dallo squillo trionfante delle trombe. È la conclusione di una delle cantate sacre più esplicitamente «teologiche» di Johan Sebastian Bach, composta ed eseguita a Lipsia nel 1723, l’anno della sua nomina a Thomaskantor e del suo arrivo in città. Il testo, le cui parti libere si devono alla sensibilità poetica e spirituale di Picander, è la trasfigurazione della parabola evangelica dell’Epifania: Erode ordina ai Magi, sacerdoti della religione di Zoroastro, di andare a Betlemme per scoprire dove è nato il piccolo Gesù, i tre «ministri», conoscitori profondi della scienza astrologica, raggiungono la casa di Maria seguendo la stella, e la notte seguente Dio, in sogno, ordina loro di non rivelare a Erode il luogo della nascita e di tornare nel regno di Persia, la loro terra di origine. Il significato teologico della parabola è chiaro: anche gli stranieri e i pagani, nel giorno della Epifania, accolgono il mistero della Incarnazione e si salvano così dal male e dai tormenti dell’inferno.

Non a caso Bach, conoscitore profondo della teologia cristiana, e di quella luterana in particolare, sceglie proprio questa cantata per concludere il suo Weihnachts Oratorium BWV 248, composto, o per meglio dire «programmato», per le feste natalizie che si svolgono tra la fine del 1734 e l’inizio del 1735. Il cosiddetto «Oratorio di Natale», il cui titolo originale è in realtà, secondo la fonte manoscritta, «Oratorium tempore Nativitatis Christi», è una composizione totalmente diversa da tutte le altre opere liturgiche nate a Lipsia. A metà degli anni Trenta Bach, dopo aver donato alla città i cinque cicli delle trecento cantate sacre composte per la Thomaskirche, dirada il suo impegno nell’hortus conclusus della musica sacra. Si libera della serialità ripetitiva del genere cantata si dedica a opere «uniche» e irripetibili, di maggior respiro sia religioso che musicale: le Passioni (ne nascono ben cinque tra il 1724 e il 1731), gli Oratori (per il Natale, la Pasqua e l’Ascensione), il Magnificat (la seconda versione è del 1733) e la Messa in si minore (eseguita la prima volta in quello stesso anno). Ma nessuna composizione è articolata in forma di polittico come il Weihnachts Oratorium: si tratta infatti di sei distinte cantate, ognuna autonoma e separata dalle altre, destinate alle funzioni principali delle festività «natalizie»: il giorno di Natale, il giorno di S. Stefano, il giorno di S. Giovanni, il primo giorno del nuovo anno, la prima domenica successiva al Capodanno e infine il giorno della Epifania.

Se ogni cantata rappresenta un mondo a sé (e quasi tutte si nutrono di numerosissimi e disinvolti auto-imprestiti) la linea teologica, e dunque narrativa, è coerente: il 25 dicembre si canta la nascita di Gesù, il 26 l’Angelo ne dà annuncio ai pastori, spaventati; il 27 i pastori se ne rallegrano, il 1° gennaio Gesù viene circonciso e riceve il suo nome, la domenica successiva Erode riunisce gli scribi e i sacerdoti; il 6 gennaio, infine, il Bene trionfa. Per imprimere continuità al racconto, Bach, come avviene nelle Passioni, affida all’Evangelista il ruolo del narratore e disegna un piano tonale logico e coerente. Ma è sul piano della scrittura vocale che l’Oratorio di Natale si rivela un’opera coesa e unitaria: recitativi, arie, ariosi, duetti, terzetti, cori e corali appartengono a due diversi poli magnetici che si attraggono e si respingono tra loro lungo l’intero arco delle sei cantate: da una parte la «carne» (per tornare a Pasolini) di una profondissima e umanissima pietas, dall’altra il «cielo» di una gioiosa, trionfante «teologia della liberazione». Dal Male.