È stata battezzata long hot summer, e la calda estate californiana non è solo questione di clima. Qualcosa, anzi molto, è arroventato anche sul fronte del lavoro, come dimostra il numero di vertenze e lotte sindacali attualmente in corso.

Ieri a Los Angeles si sono fermati per 24 ore gli addetti agli sportelli comunali, ai rifiuti, traffico e servizi aeroportuali, paralizzando una città non abituata a scioperi di questo tipo. Lo stop degli 11mila dipendenti municipali della seconda città americana rappresenta il maggiore sciopero del settore pubblico in quarant’anni.

L’AZIONE si inserisce in un panorama di agitazione generale, attualmente caratterizzato da scioperi anche nel settore alberghiero e dell’intrattenimento. La forza lavoro – oltre 30mila lavoratori, in gran parte ispanici – che mandano avanti gli alberghi, cruciali per il florido settore turistico della California meridionale, è da settimane impegnata in una serie di scioperi a singhiozzo per ottenere migliori condizioni salariali e di lavoro. Contemporaneamente continua la paralisi della macchina produttiva di Hollywood a opera di quasi 12mila sceneggiatori e 170mila attori che hanno incrociato le braccia rispettivamente a maggio e luglio.

Alla base della loro azione, rivendicazioni su sicurezza, compensi, diritti d’autore e una serie di tematiche legate alla rivoluzione prossima ventura legata all’uso dell’intelligenza artificiale nella produzione di serie e film (dallo sviluppo delle sceneggiature alla riproduzione di “attori” sintetici).

Da qualche settimana in città è impossibile non imbattersi nei picchetti quotidiani davanti ai cancelli di uno dei numerosi studios o nei rumorosi presidi di protesta organizzati all’entrata di molti alberghi di lusso. Sabato lavoratori in lotta sono stati aggrediti da addetti alla sicurezza provocando alcune colluttazioni. Le agitazioni rappresentano un riallineamento dei rapporti di lavoro dopo gli scompensi della pandemia che hanno prodotto anomalie come le dimissioni di massa della great resignation, il boom del lavoro a distanza e l’emergere dei lavoratori «essenziali».

Le interruzioni sistemiche hanno contribuito a evidenziare gli scompensi fra salari e utili aziendali maggiorati dal precariato «intenzionale» su cui si fonda la gig economy. Ora molti sussidi di era pandemica stanno scadendo, rendendo più acuta la disuguaglianza.

 

GLI SCIOPERI dimostrano una rinnovata volontà rivendicativa, in evidenza anche nelle vertenze che hanno interessato aziende come Amazon e Starbucks. Dopo decenni di declino, le unions stanno riacquistando peso politico anche all’interno del partito democratico guidato da Joe Biden, che le ha da sempre ritenute parte integrante della sua coalizione, sullo sfondo delle prossime elezioni che promettono di rinnovare lo scontro con una destra populista ma anche sempre e più nettamente schierata con gli interessi industriali.

NELLA POLEMICA si è inserito perfino un eurodeputato italiano, Matteo Gazzini, rappresentante della Lega a Strasburgo e grande ammiratore di Donald Trump. Ha commentato lo sciopero dal Fairmont Miramar Hotel dove i manifestanti hanno disturbato con fischi e tamburi la sua luna di miele: «Agitatori fulminati ricattano Santa Monica finché non ottengono ciò che vogliono. Non si sciopera così», ha scritto, apparentemente non del tutto informato sulla dinamica delle vertenze sindacali. «Se non vi piace il vostro lavoro – ha continuato in inglese in un tweet di domenica scorsa – trovatevene un altro senza (…) svegliare tutto il vicinato alle 7 di mattina».

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