Ieri sera, poco prima delle 19:30 italiane, tre terroristi hanno aperto il fuoco sui fedeli in preghiera nel mausoleo di Shahcheragh a Shiraz. Quindici i morti, due le persone arrestate. Questo episodio terroristico potrebbe servire alle autorità di Teheran a rafforzare la tesi, diffusa sui media di Stato, secondo cui le proteste di queste sei settimane, innescate dall’uccisione di Mahsa Amini, sarebbero istigate da potenze straniere. Ayatollah e pasdaran potrebbero quindi manipolare la strage di Shiraz per reprimere ulteriormente il dissenso e compattare l’opinione pubblica di fronte a una minaccia esterna.

ANCHE IERI le forze dell’ordine hanno obbedito agli ordini disperdendo la folla a Saghez, nella provincia iraniana del Kurdistan dove le autorità hanno bloccato internet e chiuso tutte le scuole e le università, ufficialmente per «un’ondata di influenza». Ostacolate dai miliziani basiji, migliaia di persone hanno comunque marciato verso il cimitero dov’è sepolta la ventiduenne picchiata dalla polizia morale e morta dopo tre giorni di coma il 16 settembre. Non è chiaro se a recarsi sulla tomba siano stati anche i suoi famigliari, perché le autorità hanno minacciato il fratello di Mahsa, di 17 anni. Come in altre occasioni, anche ieri «Donna vita libertà» e «morte al dittatore» sono stati gli slogan scanditi dai dimostranti.

FINORA sono almeno 234 i manifestanti uccisi, tra cui 29 minorenni. Le forze dell’ordine erano preparate alle manifestazioni di ieri nella provincia iraniana del Kurdistan perché ricorrono i 40 giorni dalla morte di Mahsa Amini. È tradizione, per i musulmani, commemorare i morti nel quarantesimo giorno e, per le iraniane, questa è sempre stata l’occasione per uscire di casa e ritrovarsi. Gli sciiti celebrano il quarantesimo giorno della morte dell’Imam Hussein, quel giorno si chiama Arbaeen. Quaranta è un numero mistico: dopo aver pregato 40 notti, Mosè fu in grado di sentire le parole di Dio; e nella tradizione islamica se un credente fa una buona azione per 40 giorni di seguito riceve la benedizione di Dio.

NELLA GIORNATA di ieri sono continuate le proteste nel Gran bazar di Teheran e negli atenei della capitale. Qui, nella scuola femminile Amirabad le allieve hanno espresso rivendicazioni e le forze di sicurezza hanno lanciato lacrimogeni. In subbuglio anche la città santa di Mashad (nordest) e Ahvaz (sudovest). Resta turbolenta la città di Zahedan, capoluogo della provincia del Sistan e Balucistan (sudest) a maggioranza sunnita. Qui l’imam del venerdì Moulavi Abdolhamid è stato minacciato dal Ministro degli Interni e dai pasdaran perché avrebbe accusato la Guida Suprema di essere responsabile del massacro di venerdì 7 ottobre: «Abdolhamid, ha incoraggiato i giovani e facendoli eccitare contro il sacro sistema della Repubblica islamica dell’Iran potrebbe costarti caro! Questo è l’ultimo avvertimento». In un articolo sul quotidiano Hamshahri si legge che il generale Salami, capo dei pasdaran nel Sistan e Balucistan ha dichiarato che «c’era un piano da parte dell’Imam di far cadere tutta la città di Zahedan in mano ai rivoltosi».

È CON QUESTO TERMINE, «rivoltosi», che i vertici di Teheran continuano a definire i dimostranti. È comunque ovvio che sono ben consapevoli che tra le cause dei disordini vi è la grave crisi economica. Per questo motivo, alcuni parlamentari hanno chiesto l’impeachment di Reza Fatemi Amin, ministro dell’Industria e delle risorse minerarie. Secondo i deputati, l’economia non è cresciuta per colpa di errori commessi dal ministro, che dovrà giustificarsi in parlamento. A difendere il suo operato è invece il deputato Mohammad Safaei, secondo cui Fatemi Amin avrebbe «ottenuto significativi successi nel campo delle esportazioni nel secondo semestre dello scorso anno, e quest’anno, con l’attuazione di piani specifici per la creazione di unità produttive, sono stati compiuti importanti passi che ha avuto effetti positivi sull’economia del paese».

SEMPRE A PROPOSITO di economia, numerosi parlamentari della fazione fondamentalista hanno dichiarato che «ci sono stati problemi nell’ambito dell’industria automobilistica a causa della mala gestione degli scorsi anni».