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La guerra tra Israele e Iran non è cominciata con i bombardamenti di giugno 2025. Né con l’annuncio dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica che l’Iran aveva materiale sufficiente per nove bombe. Né con la firma dell’accordo sul nucleare nel 2015. Le sue radici affondano molto più indietro, in una storia fatta di paure, ambizioni, inganni, diplomazie segrete e colpi di scena. Una storia dove l’atomica è solo la superficie di una sfida ben più profonda: il controllo del Medio Oriente e la sopravvivenza dei regimi in campo.
Tutto inizia davvero nel 1979, quando l’ayatollah Khomeini rovescia lo scià Reza Pahlavi e fonda la Repubblica islamica. Da allora, la posizione dell’Iran nel mondo cambia radicalmente: da alleato dell’Occidente a nemico giurato di Israele e degli Stati Uniti. È in quel passaggio che la questione nucleare si carica di significati nuovi. Per Teheran, il nucleare diventa uno strumento di prestigio, autonomia e potere. Per Israele, un pericolo mortale. Da qui nasce il lungo confronto, fatto di sanzioni, sabotaggi, trattative, e ora raid aerei.
L’accordo del 2015 fu il tentativo più concreto di fermare questa corsa. Fu voluto da Obama, sostenuto dall’Europa, firmato con cautela dall’Iran. In cambio del blocco delle attività più sensibili – come l’arricchimento dell’uranio – Teheran ottenne lo sblocco di miliardi di dollari e la fine di molte sanzioni. Ma quell’intesa fu fragile fin dall’inizio: osteggiata da Israele, guardata con sospetto dai conservatori iraniani, e infine affondata da Donald Trump, che nel 2018 ritirò gli Stati Uniti dall’accordo, rimettendo tutto in discussione.
Da quel momento, la sfida è tornata sotterranea. L’Iran ha ripreso ad arricchire uranio, mentre Israele ha iniziato a colpire in silenzio: scienziati uccisi, laboratori sabotati, centrali oscurate. Il tutto mentre si moltiplicavano i segnali di un collasso del vecchio equilibrio regionale. L’Iran, pur sotto pressione, ha mantenuto la rotta. Israele, isolato e sotto attacco, ha scelto la strada dell’attacco diretto. Non più guerra per procura, ma guerra vera, con nomi, mappe e bersagli precisi: Natanz, Isfahan, Arak.
Cosa cerca Israele? Di distruggere il programma atomico? Di fiaccare l’apparato militare e politico degli ayatollah? O di forzare il quadro regionale, spingendo Stati Uniti ed Europa ad accettare il fatto compiuto? Probabilmente tutte queste cose insieme. Ma il vero nodo non è tecnico, è politico. Israele sta cercando di cambiare le regole del gioco, in un momento in cui sente di non avere più il tempo dalla sua parte. Gaza è una ferita aperta, la società israeliana è sotto pressione, l’alleanza con gli Stati Uniti è meno solida di un tempo. Per Netanyahu, colpire l’Iran adesso è forse l’unico modo per non crollare. Anche a costo di rischiare un’escalation incontrollabile.
Dall’altra parte, la Repubblica islamica è più debole di quanto sembri. Le sue milizie alleate – da Hezbollah agli houthi – sono state indebolite. La popolazione è stanca, l’economia in crisi, le élite divise. Ma l’orgoglio nazionale e l’ossessione per la sicurezza restano fortissimi. È difficile immaginare che non ci sarà una risposta. Anche se questa sarà probabilmente indiretta, frammentata, più simbolica che risolutiva.
Nel frattempo, il mondo osserva, con crescente preoccupazione. Gli Stati Uniti sembrano restii a farsi coinvolgere, ma alla fine, come sempre, potrebbero trovarsi trascinati. L’Europa protesta, ma non ha strumenti per cambiare la rotta degli eventi. I Paesi arabi del Golfo, avversari storici dell’Iran, assistono con ambiguità: temono la bomba iraniana, ma temono anche il caos di una guerra regionale.
E l’atomica? Il rischio che l’Iran la costruisca davvero è ancora alto. Anche se colpiti, gli impianti non sono stati del tutto annientati. Anche se danneggiati, i tecnici non sono scomparsi. Le competenze restano. E la volontà, probabilmente, pure.
Ci troviamo davanti a un momento di verità. Una lunga corsa fatta di promesse e minacce è arrivata al punto in cui la diplomazia ha fallito, le trattative si sono esaurite e restano solo le armi. Ma nessuno – né Israele, né l’Iran, né gli Stati Uniti – può permettersi una guerra totale. Ecco perché l’impressione è quella di un conflitto che non vuole finire, ma nemmeno esplodere del tutto. Una guerra che si muove su un filo sottilissimo, tra deterrenza e disperazione.
L’atomica, alla fine, è solo il simbolo di una sfida più grande: quella tra due Stati – Israele e Iran – che si considerano l’uno la negazione dell’altro. E che, per sopravvivere, pensano di dover annientarsi.