De Mossi abbandonato dai suoi partiti
20 Ottobre 2022News
21 Ottobre 2022di Caterina Soffici
C’è la verità ufficiale. «Non era intenzionale, ho dimenticato il velo perché mi hanno chiamato a gareggiare all’ultimo e nella fretta l’ho dimenticato. Mi scuso con il popolo iraniano per le tensioni create» ha detto Elnaz Rekabi, la campionessa iraniana alla tv di stato. E poi ci sono i fatti, e quelli raccontano un’altra verità. Alle 4 di mattina ad attendere l’arrivo dell’atleta iraniana all’aeroporto di Teheran di ritorno dai campionati in Corea, c’erano centinaia di persone. Sei la nostra eroina era il messaggio. I telefonini alzati, le mani e le braccia in alto, in un grande abbraccio fatto di cori, di applausi. Elnaz aveva gli occhi lucidi, il volto provato dalla stanchezza e dalla tensione. C’era preoccupazione per la sua sorta. Prelevata dopo la competizione, telefonico sequestrato, nessuna notizia. Invece è tornata sana e salva, al momento, e comunque si è presentata senza velo. E non può essere un caso. Ma non ha infranto la legge che impone alle donne di coprire i capelli: Elnaz indossava un cappellino da baseball e il cappuccio di una felpa nera. neanche una ciocca fuoriusciva. I simboli dell’odiato Occidente – cappellino e felpa – per sfidare il regime senza infrangere le regole. La beffa per inneggiare alla libertà contro l’ottusità e la violenza degli sbirri del regime islamico.
E poi c’è Gouhar Eshghi, che sfida le regole a viso aperto e se ne frega della verità ufficialmente e si toglie il velo dopo 80 anni. La nonna ribelle si è fatta filmare mentre srotola dalla testa il jihab nero, che portava da quando era bambina, perché è musulmana e religiosa convinta. Ma adesso anche lei dice basta. Nel filmato tiene in mano la foto del figlio blogger ucciso nel 2012 e dice: «Per i nostri giovani, dopo 80 anni, a causa di una religione che sta uccidendo persone, i tolgo il mio jihab. maledico i codardi. Se mi ascoltate, scendete nelle strade. Siete codardi se non lo fate».
Il figlio di Gouhar era Sattar Beheshti, un blogger famoso negli anni 2010, animatore del blog La mia vita per il mio Iran, in cui denunciava gli abusi delle milizia di regime, le sparizioni, i pestaggi, gli arresti degli oppositori e le torture del i detenuti. Sattar ha dato la vita per l’Iran sul serio. Arrestato, è morto nelle carceri islamiche nel 2012.
La madre adesso si unisce apertamente alle proteste e alle manifestazioni innescate dalla morte di Mahsa Amini il 16 settembre scorso. La nonna e le ragazze, che continuano a scendere in piazza e a rischiare la vita. L’ottantenne e le adolescenti. Asra Panahi, 16 anni, si è rifiutata di cantare l’inno che celebra l’ayatollah Khamenei. L’hanno arrestata e massacrata di botte. È morta come Mahsa e come tante altre ragazze, di cui ormai si fa fatica a tenere il conto. Le ong umanitarie indipendenti parlano di almeno 200 vittime e di 26 minorenni. Alcuni nomi sono arrivati anche nei media occidentali, bucando la censura e la chiusura di Internet.
Sarina Esmailzadeh, 16 anni. Nika Shakarami, 17 anni. Ragazze che protestavano a scuola, al grido “Donna, vita, libertà,” il canto delle rivolta. Alzavano il dito medio verso la foto del capo supremo. Le hanno prese e picchiate fino a farle morire, in una modalità macabra ormai nota.
Ma ancora ci sono le due verità. Per quella ufficiale Mahsa è morta per un tumore al cervello che avrebbe avuto da bambina. Sarina suicida, si sarebbe gettata dalla finestra. Anche Nika suicida, caduta dall’alto si un palazzo. Anche Asra, suicida con le pillole, come ha detto lo zio apparso alla tv di Stato. I parenti delle altre ragazze hanno fatto altre dichiarazioni simili, sempre a favore delle telecamere del regime. Confessioni estorte, dichiarazioni false. La BBC riporta invece la dichiarazione di una stella del calcio iraniano Ali Daei, nato ad Ardabil, la città di Asra, che su Instagram ha scritto: «La storia proverà chi sta mentendo».