In attesa che il governo informi i migranti di quanto sono pericolose le traversate, come promesso nel consiglio dei ministri a Cutro, e aspettando che entrino in vigore le nuove pene per gli scafisti, con cui Giorgia Meloni è convinta di ridurre le partenze, nel Mediterraneo centrale sbarchi, richieste di aiuto e salvataggi si rincorrono senza sosta. Tenere i conti non è semplice, soprattutto in giornate come ieri. Un dato però è certo: dopo la strage nel crotonese la guardia costiera ha scelto di andare incontro ai barconi il prima possibile e cambiato strategia comunicativa.

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Il decreto della caccia agli scafisti «in tutto il globo terracqueo»NEL PRIMO POMERIGGIO ha annunciato con un comunicato, diffuso insieme a una mappa molto dettagliata su quanto stava accadendo in mare, l’impiego di cinque motovedette classe 300 e della ben più grande nave Dattilo per soccorrere tre pescherecci con 1.300 migranti. Uno 70 miglia a sud di Crotone, due 100 miglia a sud-est di Roccella Jonica. Distanze ben più ampie e numeri molto maggiori di quelli del barcone naufragato a Steccato di Cutro il 26 febbraio scorso, che era stato avvistato da Frontex a 40 miglia dalle coste calabresi e trasportava meno di 200 persone.

SULLA SCENA sono state inviate anche le navi Corsi e Visalli, sempre della guardia costiera, che hanno preso a bordo 500 persone: 300 dirette a Crotone e 200 a Roccella. Il centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo (Imrcc) ha anche richiesto alla marina l’invio della nave Sirio, che si trovava a sud-ovest della Sicilia. È stata spedita alla «massima velocità». A testimonianza della complessità della situazione, nonostante il grande dispiegamento di mezzi, c’è la testimonianza raccolta intorno alle 19, cioè nove ore dopo il primo Sos, dal centralino Alarm Phone: da uno dei pescherecci riferivano che il salvataggio non era ancora iniziato e intanto nello scafo stava entrando acqua. Il mezzo era partito da Tobruck. Anche gli altri due pescherecci dovrebbero aver preso il mare dalle coste della Cirenaica, cioè la Libia orientale.

UNO SCIAME di barchini ha attraversato invece l’altra rotta, quella che unisce la Tunisia a Lampedusa. Almeno 22 gli sbarchi soltanto ieri per quasi mille arrivi. Un barchino è colato a picco con 42 persone. Tutte salvate dalla guardia costiera. 1.900 migranti sono arrivati invece giovedì in 41 eventi. Nell’hotspot le presenze sfiorano quota 3.000. La capienza massima è di 390 posti e la situazione interna disastrosa, come ogni volta che il beltempo porta al sovraffollamento. I trasferimenti saranno complicati dalle condizioni del mare che rischiano di fermare il traghetto di linea per un paio di giorni.

IERI AD AIUTARE le motovedette classe 300, impegnate senza sosta intorno alla più grande delle Pelagie, è stata dirottata la nave Diciotti che aveva appena imbarcato 180 migranti dall’isola. Ne ha salvati altri 480 e ha preso la rotta di Reggio Calabria. È una sorta di nemesi per l’attuale ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, da cui dipende la guardia costiera, che nell’estate 2018 dalla poltrona del Viminale bloccò quella stessa nave con 177 migranti a bordo per dieci giorni. Il leghista non è finito a processo solo grazie al Senato, che nel marzo seguente respinse la richiesta del tribunale dei ministri.

«DA QUANDO la Tunisia nega ai subsahariani la possibilità di affittare una casa o prendere i soldi in banca, loro possono solo lasciare il paese – afferma Britta Rabe, attivista di Alarm Phone – Alcuni con i cosiddetti “rimpatri volontari”, altri via mare. Dove la guardia costiera tunisina cerca di prenderli e riportarli indietro o addirittura sequestra loro i motori e li lascia alla deriva, come accaduto l’altro ieri». In sole 36 ore tra giovedì e venerdì mattina le autorità di Tunisi hanno fermato, secondo quanto dichiarato, 42 barche con 1.500 migranti sopra. Nel paese nordafricano la situazione dei subsahariani è diventata molto difficile. Il 21 febbraio scorso il primo ministro Kais Saied ha tenuto un discorso complottista alludendo a una sorta di piano per imporre la sostituzione etnica della popolazione araba. Parole che hanno scatenato un’ondata di razzismo e la caccia all’uomo, ma anche la reazione della società civile e la condanna dell’Unione africana.

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In Tunisia le frasi choc di Saied sui migranti africani fanno proseliti. Ma c’è chi dice noA RIBADIRE fiducia nel leader tunisino ci ha pensato il ministro degli Esteri Antonio Tajani che il 27 febbraio parlando con l’omologo Nabil Ammar ha assicurato, nonostante tutto, «massimo sostegno sui migranti». Proprio Tajani, insieme al capo del Viminale Matteo Piantedosi, aveva incontrato Saied a Tunisi un mese prima del discorso sulla sostituzione etnica. Al centro del meeting i flussi migratori.

DALL’1 GENNAIO fino alle prime ore di ieri in Italia erano arrivate via mare quasi 18mila persone (tremila solo nelle 72 ore precedenti). A quella cifra, che già triplica gli sbarchi dello stesso periodo 2022, andranno sommati i numeri di ieri. Un inizio non male per chi in campagna elettorale prometteva blocchi navali e zero sbarchi.