Nuova vita per i distretti
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2 Settembre 2022Avevamo sperato in una ripresa forte del mercato del lavoro dopo la pandemia. I dati erano stati positivi. Ma ora l’incertezza del quadro complessivo, nazionale e internazionale, causato dalla guerra, dall’inflazione, dal rischio recessivo, avanza. Peggiora il clima di fiducia delle imprese. La situazione non può essere sottovalutata. E richiama al senso di responsabilità nazionale.
Gli occupati diminuiscono di 22 mila unità a luglio rispetto al mese di giugno. Peggiorano le donne, migliorano gli uomini. Nella seconda metà del 2021 le donne avevano recuperato prima e più velocemente l’occupazione persa.
280 mila lavoratrici in piu da maggio a dicembre. E da dicembre a luglio solo 40 mila in più. Questo perchè abbiamo assistito ad un rallentamento della crescita dell’occupazione femminile. Per di più, luglio ha rappresentato un mese critico con la diminuzione di 33 mila occupate rispetto a giugno.
Anche per i giovani registriamo segnali discordanti negli ultimi mesi. La crescita dell’occupazione giovanile dalla seconda metà del 2021 fino ad aprile lasciava ben sperare, seppure si verificasse fondamentalmente tra i lavoratori a tempo determinato. E poi? Sali e scendi. E non è un caso che su questi segmenti di popolazione si concentri l’incertezza. Sono quelli più inseriti in lavori precari, meno retribuiti, e che svolgono meno ore di lavoro, come bene ha messo in luce il Rapporto Annuale dell’Istat a luglio.
Non bisogna sottovalutare la situazione. Perchè i dati sul lavoro risentono con maggior ritardo dei segnali critici dell’economia, salvo il caso della pandemia, durante la quale il crollo occupazionale fu immediato. E allora dobbiamo leggerli insieme agli altri. Segnale critico è quello dell’inflazione, che riguarda tutta Europa, tocca soprattutto energia e alimentari, ma si allarga a tutte le componenti. Siamo arrivati all’8,4% di crescita dei prezzi rispetto all’anno precedente, 9,7% se si considera il carrello della spesa. L’inflazione incide sull’aumento dei costi di produzione delle imprese, con conseguente diminuzione nella capacità di creazione di posti di lavoro ed un maggior rischio di riduzione dell’occupazione. Ha un effetto selettivo. Crea grosse criticità per le imprese più vulnerabili, magari quelle che a fatica stavano risollevandosi dalla crisi post-pandemia. Genera incertezza profonda per le altre nella possibilità di procedere con investimenti. Nel migliore dei casi provoca attesa. E, come al solito, ne fa le spese la popolazione più povera.
Secondo segnale negativo: la discesa della fiducia delle imprese soprattutto nella manifattura e nei servizi di mercato negli ultimi due mesi e anche nelle costruzioni nell’ultimo mese. Meno fiducia, meno investimenti. Terzo elemento, l’incertezza politica. Un governo con più limitate possibilità di intervento in un clima di emergenza non ci voleva proprio. Quale imprenditore può sentirsi tutelato da una situazione del genere? E quale cittadino?
Certo, il governo Draghi farà l’impossibile fino all’ultimo.
Ma poi? Non si sa che politiche si adotteranno. Non si sa come si proseguirà con il Pnrr. Non si sa che costi dovremo tutti ulteriormente sostenere. Bauman affermava che affidarsi alla certezza non è possibile e bisogna accettare l’incertezza come regola generale della condizione umana. Il che significa vivere di conseguenza in uno stato di permanente instabilità.
Ma quando l’incertezza è politica, come ora, ed è all’apice o scatta il senso di responsabilità nazionale o rischieremo di arretrare di molto, sul piano economico, sociale, democratico. Da come affronteremo questa ennesima crisi dipenderà il futuro storico del ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo. Affonderemo sotto il peso del nostro alto debito, aumentandolo a dismisura, dei gravi problemi strutturali mai affrontati, di una politica di corto respiro, irrisolta e incapace di risolvere i problemi del Paese?
Oppure troveremo quella lucidità politica, quello scatto di reni di cui gli italiani e le italiane si sono sempre dimostrati capaci nei momenti difficili?