L’università italiana è ritornata al centro dell’agenda pubblica, per le contestazioni studentesche alla collaborazione di alcuni dipartimenti con Israele e per la reazione della destra conservatrice ai contestatori. È stato il trionfo dell’ideologismo. Cominciamo dagli studenti. È necessario condannare il massacro ingiustificato di palestinesi nella Striscia di Gaza. È necessario cercare di arrestare quel massacro, mobilitando l’opinione pubblica internazionale. Ma è anche necessario comprendere che la responsabilità per ciò che sta avvenendo non è di Israele, ma del governo israeliano della destra fondamentalista guidato da Bibi Netanyahu. Una larga parte della società israeliana scende ogni giorno in piazza per chiedere le dimissioni del primo ministro, per rivendicare nuove elezioni, per andare ad una soluzione negoziale del conflitto con Hamas. E in questa mobilitazione anti-Netanyahu, le università israeliane sono in prima fila.
Sono esse che alimentano il dissenso e l’opposizione al governo. Invece di tagliare i legami con esse, sarebbe invece necessario fare l’opposto. Perché la sinistra radicale studentesca non comprende la natura pluralista della società israeliana? Perché in troppe aule universitarie italiane (nei dipartimenti di humanities dove molti di quei giovani si formano) viene insegnato un modo di pensare opposto, unilateralista e non pluralista. L’unilateralismo costituisce la cifra intellettuale di non pochi docenti italiani di quei dipartimenti, prigionieri di schemi cognitivi in base ai quali ciò che conta è schierarsi. Se si è dalla parte dei palestinesi, allora si è contro Israele. Tant’è che l’unilateralismo non ha opposto resistenza alla crescita dell’antisemitismo, giustificandola con le scelte dei vari governi israeliani. La contestazione studentesca celebra il fallimento dell’unilateralismo educativo. Di fronte alle contestazioni studentesche, alcuni esponenti del governo italiano hanno sostenuto che esse sono l’esito di una cultura moralista, diffusasi nelle università, con lo scopo di stabilire ciò che è corretto e ciò che non lo è. L’università è divenuta il tempio del “politicamente corretto”, un tempio che va smantellato per dare vita ad una nuova cultura. Per la destra conservatrice, l’università deve essere il luogo di formazione di nuove identità, attraverso un pensiero “esagerato” che ne svisceri tutti i possibili sviluppi. Lo schema è sempre lo stesso: all’unilateralismo della sinistra radicale occorre opporre l’unilateralismo della destra conservatrice.
Ma l’università “reale” è molto diversa da quella che emerge dalle visioni unilateraliste della sinistra radicale e della destra conservatrice. Intanto, al suo interno un ruolo cruciale è esercitato dai politecnici che lavorano su insiemi di competenze che non possono, per loro natura, essere unilaterali. E poi, perché l’università è impegnata, non già a produrre identità, quanto a produrre scienza. E la scienza si produce facendo ricerca, in cooperazione e in competizione con università straniere, così da spingere in avanti la frontiera internazionale delle conoscenze. Certo, anche l’insegnamento è parte importante dell’università, ma esso è tanto più efficace (per le studentesse e gli studenti) quanto più chi insegna è vicino a quelle frontiere, così da riportare in classe gli approcci, i paradigmi, i risultati della ricerca più avanzata. Nell’università reale, il confronto è sui modelli, sui metodi, sulle teorie con cui vengono condotte le ricerche e, soprattutto, sui loro risultati. Per questo motivo, il linguaggio scientifico deve essere “disciplinato” e non “esagerato”, perché solamente un linguaggio costruito intorno ad assiomi condivisi può condurre a risultati che possono essere falsificati (cioè, testati così da stabilire se sono plausibili o meno). L’università è necessariamente pluralista, ma il suo pluralismo riguarda le diverse visioni di un problema da risolvere o le diverse teorie per concettualizzarlo, non già la destra e la sinistra (posizionamenti necessari in parlamento, ma ingiustificabili nella ricerca). L’università reale riconosce un’unica sovranità, quella della conoscenza. Se interessi esterni (governativi, politici, economici, imprenditoriali) vogliono esercitare un controllo sull’università, il risultato è la decadenza di quest’ultima. Come in democrazia, anche il pluralismo dell’università è tenuto insieme da regole scritte e non scritte. Tra queste ultime c’è il rispetto reciproco tra studiosi, la loro integrità personale, la loro condivisione di basilari valori di convivenza accademica. Certamente, le università italiane vanno aiutate per competere con quelle degli altri Paesi. Con maggiori finanziamenti pubblici alla ricerca, cui deve però corrispondere una maggiore disponibilità dei docenti a farsi valutare, uscendo dalla logica corporativa che li caratterizza. Occorre aprire porte e finestre a studiosi di altri Paesi che vorrebbero venire in Italia, o a italiani che sono andati all’estero e che vorrebbero rientrare, attraverso programmi di insegnamento e di ricerca internazionalizzati. È tanta la polvere depositata sull’università italiana che occorre spazzare via.
Insomma, l’università è troppo importante per essere lasciata agli ideologi. L’Italia non potrà crescere senza il sostegno di una università competitiva. Ma, per essere tale, quest’ultima dovrà proteggere il suo pluralismo scientifico dalle insidie unilateraliste.