Si plachino i rigorosi filologi della storia dell’architettura italiana del Novecento: no, questo non è un saggio che vuol dimostrare l’esistenza di un movimento che non c’è stato, ma non pensino – gli stessi filologi – di ridurlo all’ennesimo coffee-table book, perché non lo è. Si tratta invece di un libro estremamente sofisticato e curato, nel quale è riunito il lavoro di due fotografi – Roberto Conte (1980) e Stefano Perego (1984), che sarebbe riduttivo circoscrivere all’architettura – con una introduzione di Adrian Forty. È lo sforzo – riuscito – di raggiungere un equilibrio tra una significativa selezione di edifici e una invitante sequenza di fotografie, senza perdere di vista la necessità di una scelta che renda manifesta la compiutezza di uno sguardo critico.
La peculiarità dell’architettura italiana del Novecento – di tutto il Novecento, non solo della seconda metà presa in esame nel volume – è stata quella di sfuggire al manicheismo ideologico sia degli architetti che della critica successiva. Ambigua, sfuggente, la modernità italiana ha convissuto col Fascismo, durante il quale sono fioriti capolavori architettonici indiscussi, e nel Dopoguerra è stata pronta a declinare, in maniera altrettanto ambigua e sfuggente, alcuni temi ammantati di un fondamentalismo rigoroso, come l’uso del cemento armato, con una sorprendente capacità maieutica, riuscendo a combinare spinte solo apparentemente antitetiche – tradizione e invenzione – in nuovi orizzonti espressivi: la tradizione dell’invenzione. Forty sintetizza acutamente questo nodo centrale della cultura architettonica italiana del Dopoguerra in una introduzione brevissima ma illuminante, soffermandosi sul modo del tutto originale con il quale gli architetti e gli ingegneri italiani hanno usato il cemento armato, di fatto sfuggendo a un’idea ortodossa e militante – quella del brutalismo anglosassone e dei suoi esegeti – e dando corpo a una Brutalist Italy che ha una deriva temporale molto più ampia, caratterizzata non certo dall’adesione di un’istanza ideologica ma dall’uso anticonvenzionale del cemento armato.
L’itinerario è aperto dalla cattedrale di Cristo Re alla Spezia (1956-75) di Adalberto Libera – non a caso uno dei protagonisti della stagione tra le due guerre – e di Cesare Galeazzi, con il suo solaio brutalista sorretto da colonne segna il trait d’union tra le ricerche degli anni 30 e la legittimata facies espressiva del cemento armato. Seguono, tra le altre architetture, il palazzo di Giustizia di Savona (1987) di Leonardo Ricci; le Lavatrici (1980-89) – il complesso residenziale Pegli 3 – di Aldo Luigi Rizzo, Aldo Pino, Andrea Mor, Angelo Sibilla; il Biscione (1956) – il complesso residenziale Forte Quezzi – di Luigi Carlo Daneri ed Eugenio Fuselli; il fatto che gli ultimi due vengano comunemente evocati con un ironico e amichevole sostantivo ci rivela come questi edifici siano letti, nell’immaginario comune, come oggetti alieni dalla tradizione ma come al tempo stesso siamo ricondotti a qualcosa di familiare, ormai integrato nel paesaggio urbano.
Nella sua sequenza di varchi circolari, un sorprendente edificio anonimo di Sarzana ricorda l’infilata molliniana delle aperture ovali all’ingresso del Teatro Regio di Torino (1973), mentre l’ex liceo Regina Maria Adelaide di Aosta (1976) di Vittorio Marchisio pare alludere a certe riprese portoghesiane di elementi barocchi berniniani e borrominiani. Paolo Portoghesi è del resto presente in questa antologia brutalista con la biblioteca di Avezzano (1969-82), la chiesa della Sacra Famiglia di Salerno (1971-74), entrambe con Vittorio Gigliotti, e l’Istituto di Istruzione Superiore Amedeo d’Aosta dell’Aquila (1975-80).
La villa Gontero a Cumiana (1969-71) di Carlo Graffi (già sodale di Carlo Mollino) e Sergio Musmeci, virtuosistica casa-ponte, sospesa sopra la piscina, ibrida suggestioni lecorbusieriane alla ricerca tutta italiana – Musmeci – sulle nuove tecniche di sviluppo del cemento armato. La chiesa di Santa Maria Immacolata a Longarone (1966-82), e soprattutto la Chiesa dell’Autostrada a Campi Bisenzio (1964) di Giovanni Michelucci, la seconda celeberrima, riportano la cifra del brutalismo nostrano a una ricerca espressionista dei volumi e delle forme: dal dinamismo quasi futurista – lo Sviluppo di una bottiglia nello spazio (1912-13) di Boccioni – della prima alla tenda tesa sorretta dai pilastri ad albero della seconda.
Il telaio in cemento armato del complesso abitativo di Sorgane (1962-80), di Leonardo Savioli e Leonardo Ricci, si confonde con i segni della ricerca artistica dei due autori: sarà Ricci, col cimitero di Jesi (1984-94) a ibridare il reticolo cartesiano delle strutture con elementi plastici esuberanti e – apparentemente – instabili. Nell’esperienza italiana del cemento armato, anche e soprattutto quella degli ingegneri, non è il calcolo a dettare le forme, bensì una sempre più evidente volontà di esplorare nuovi mondi formali a spingere il progettista verso nuovi metodi di calcolo e definizione delle strutture: ne è un esempio il ponte sul Basento di Sergio Musmeci (1967-76).
Emblematico il finale con l’Hotel Castello a Martina Franca (1973), scheletro in cemento armato di un edificio incompiuto, progettato da Musmeci e Domenico Esposito: un ecomostro, secondo l’opinione comune, che svetta da decenni sopra la città pugliese, la cui disinvolta – rispetto ai regolamenti edilizi – ruina, ancora mossa da una certa arditezza, è ormai ammantata dal fascino romantico e decadente del brutalismo nostrano.
Dispiace per alcune assenze forzate, dipese dal vincolo degli eredi – mai dei progettisti – sui diritti di riproduzione, anche attraverso la fotografia attuale, delle opere realizzate: fenomeno che sta generando lacune endemiche nella conoscenza di più di una figura dell’architettura italiana, forzatamente espulse dalla saggistica e dalla pubblicistica contemporanee.
Il volume è dunque un viaggio, da Nord a Sud, isole comprese, scandito da didascalie chiare e precise, che alterna opere sconosciute, alcune anonime, altre abbandonate – ma scelte con un occhio ben lontano dallo zelo naïf dei vari blog sulle architetture dimenticate – e altre ben note, ricomponendo un mosaico che permette di cogliere in una visione di insieme un fenomeno altrimenti disperso trasversalmente rispetto alle singole biografie dei progettisti.
Roberto Conte, Stefano Perego
Brutalist Italy. Concrete
Architecture from the Alps
to Mediterranean Sea
FUEL Design & Publishing,
pagg. 200, $ 34,95