ROMA — Il tema sembrava scomparso dall’agenda politica, spento assieme ai fuochi del grillismo. La questione dei costi della politica riappare all’improvviso in una Camera che si trascina verso le ferie, sotto forma di un ordine del giorno presentato dal leader di Noi moderati Maurizio Lupi, accolto dall’Aula. Il contenuto non è di poco conto: si chiede l’equiparazione del trattamento economico di deputati e dipendenti a quello del Senato. In sostanza, se l’atto sarà recepito dall’ufficio di presidenza, ogni eletto alla Camera guadagnerà circa 700 euro in più. Oggi percepisce infatti circa 13.900 euro, contro i 14.600 dei colleghi dell’altro ramo del Parlamento. In prospettiva c’è un sensibile aumento che colmerebbe un gap, non solo economico, che è sempre esistito. Questa legislatura, segnata dal governo del centrodestra (che guida le due Camere), rischia di essere ricordata anche per il ritorno della Casta. O comunque per il dibattito attorno ai tagli che, negli anni scorsi, sull’onda di un sentimento anti-Palazzo cavalcato dalle forze populiste (5 Stelle in testa), vengono adesso attenuati. Su volontà di un asse trasversale.
È vero che, sempre nella giornata di ieri, la Camera ha votato due altri ordini del giorno, uno di Fratelli d’Italia e uno di M5S, per mantenere il meccanismo di calcolo contributivo anche a quanti sono andati in pensione prima del 2012, anno della riforma Fornero. È sostanzialmente una stretta, ma va però in direzione opposta a quanto fatto dal consiglio di garanzia del Senato, che ha varato invece una delibera che prevede il ripristino dei vitalizi che erano stati ridotti agli inquilini di Palazzo Madama, sempre in relazione a quelli erogati prima del 2012. La decisione, in quest’ultimo caso, era arrivata con il no dei componenti di Lega e FdI, il sì di un componente del consiglio ex M5S e l’astensione del Pd, mentre il presidente, l’azzurro Luigi Vitali, aveva votato sì. L’ex numero uno della Camera, Roberto Fico, chiede che la decisione del Senato «venga immediatamente rivista».
Ma il ritorno prepotente del confronto sui costi della politica viaggia anche su un altro provvedimento approvato dal consiglio di presidenza della Camera: il via libera a un’indennità aggiuntiva per i capigruppo pari 2.226 euro lordi al mese, 1.269 euro netti. L’aumento, si fa notare, è a costo zero per i gruppi, perché è ricavato dai trasferimenti già erogati agli organismi parlamentari. Ma è passatocon il favore del centrodestra e del Movimento 5 Stelle, mentre Pd e Iv si sono astenuti. Poi è stata una corsa a dichiarare la rinuncia all’indennità, che ha unito il meloniano Tommaso Foti e il contiano Francesco Silvestri.
L’argomento infiamma il clima politico e spacca i partiti al loro interno. Ieri ha diviso il Partito democratico. Uno dei suoi esponenti storici, Piero Fassino, si è lanciato in Aula in un orgoglioso intervento contro gli anti-Casta, sventolando la propria busta paga: «Stipendi d’oro? Non è vero. Guadagniamo 4.718 euro al mese». Ommettendo peraltro di citare altri voci che fanno parte degli emolument i quali diaria (3.500 euro non tassati) e altri rimborsi di viaggio e telefonici. Un’iniziativa, quella di Fassino, che non è piaciuta ai vertici del Pd, che in queste ore conducono una battaglia sul reddito di cittadinanza e il salario minimo, a favore delle categorie più deboli. «Fassino ha parlato a titolo personale, in dissenso rispetto al voto del Pd sui vitalizi alla Camera», dice Elly Schlein. Una presa di distanze piuttosto ruvida. È guerra intorno a vitalizi e indennità d’oro. Si litiga anche sul dress code, dopo la proposta di FdI di vietare sneakers («Non siamo qui a fare footing», dice la leghista Simonetta Matone) e introdurre anche a Montecitorio, come a Palazzo Madama, l’obbligo della cravatta. Decideranno i deputati questori. Ma a fine giornata la sensazione è diffusa: la macchina del tempo sembra essersi fermata.