L’identità di Chagall crocevia di due mondi
24 Luglio 2022La politica sia affidata solamente ai «Virtuosi»
24 Luglio 2022Di Adriana Marmiroli
Inequivocabilmente boomer, Marco Paolini. Di appartenere a questa generazione non ha mai fatto vanto, anche se dal suo passato attinge da sempre per i suoi spettacoli: è il filtro per parlare del presente. In questi giorni ha debuttato con un nuovo testo: intitolato proprio Boomers. Non solo: dal 1° al 3 settembre sarà a Villa Draghi di Montegrotto Terme, ai neonati «Incontri della Fabbrica del Mondo» (jolefilm.it), prosecuzione in forma non televisiva dell’omonimo programma su Rai3: tre giorni di riflessioni sul presente e sul mondo che si sta «inceppando». Ci saranno lui, Ascanio Celestini, Marta Cuscunà, il filosofo Telmo Pievani, l’astrofisica Ersilia Vaudo, lo scrittore Bruce Sterling, la cofondatrice di «Fridays for Future Italia» Sara Segantin e tanti altri. Promette più domande che risposte, forse qualche ipotesi di lavoro. E il tema generazioni – conflittuali e non – sarà centrale.
«Orgoglio Boomer» e acceso dibattito. Cosa ne pensa?
«Che è molto italiano, al più europeo o occidentale. Un po’ salottiero. Anzi, da corsia ospedaliera. Detto questo, mi sento troppo parte in causa e non ho certezza del mio giudizio. Non mi fido della memoria degli anziani».
Ma il suo spettacolo, allora?
«Ho preso atto che assistiamo a un appiattimento della memoria, di un vuoto nel flusso dei ricordi dovuto al tutto e subito (e subito rimosso) del web. E mi ci sono buttato dentro. Con Boomers racconto della creazione di un videogioco per anziani smemorati, creato da una start-up di millennials: offre un metaverso in cui essere un avatar eternamente giovane e dove rivivere il passato. Ma il passato è deformato: vero e falso si mescolano in un contesto caotico e in schegge che disorientano. Dentro c’è la storia del protagonista, ma anche 60 anni di Italia. E ci sta pure il dibattito sui boomers. A chi lo attacca per esserlo, il protagonista ribatte: “Però non eravamo tutti uguali”».
Non l’accusano di portare acqua al mulino boomer?
«Prendo atto di essere parte del problema e delle responsabilità della mia generazione, ma al suo interno non siamo tutti la stessa cosa. Di me si può dire che sono un privilegiato che, per via della notorietà, può dire la sua e questo alimenta il risentimento di chi questo spazio non l’ha. Invece di recriminare, però, sarebbe meglio allearsi per vincere le battaglie vere del presente: disparità sociale e ambiente, per esempio. Per questo non voglio entrare in nessuna categoria sindacale che se la piglia coi boomers o li difende».
Ma in qualcosa differirà dalle altre la sua generazione, o no?
«Siamo portatori di una visione in cui si sentiva ancora forte lo slancio ricostruttivo dei padri. Loro avevano un obiettivo materiale molto evidente: cancellare le ferite della guerra e ricostruire sulle macerie. Noi abbiamo ancora negli occhi quelle immagini: il campetto di calcio dove giocavo da bambino era frutto dei bombardamenti. Questo ha impresso un ritmo e dato uno sguardo particolari al nostro agire».
La crisi di governo, viste le età dei contendenti – Draghi contro Salvini e Conte per non parlare di Meloni – si può leggere all’interno di questa contrapposizione tra generazioni?
«Non mi esprimo sulle cose della politica. Però in “Boomers”, parlando della fine della Prima Repubblica, grido: “Cittadini dell’arco costituzionale non è così brutto morire da democristiani. Non avete idea di cosa verrà dopo”. Le democrazie sono noiose e ogni tanto c’è chi prova ad animarle un po’: i giovani cercano le montagne russe. La consapevolezza degli adulti fa rinunciare ai colpi di testa per tenere i piedi per terra: è quella mediocritas che tutti fuggono e che invece dovremmo tornare a considerare sexy».
Boomers, millennials, ma anche generazione Y e Z. Non pensa che presto saranno loro a insorgere contro chi li precede?
«Se le guardi bene e non con un microscopio – che non è lo strumento più adatto per guardarsi attorno – le differenze tra generazioni sono infinitesimali. Sono convinto che sia un errore parlare dei conflitti solo in termini generazionali. I conflitti esplodono nei confronti di progetti e di visioni generali, non sulle rendite di posizione presunte. Sostituire le classi sociali con le generazioni è ridicolo. Parlare di conflitti intergenerazionali è un falso problema che distrae da quelli veri: la ridistribuzione delle ricchezze e del potere, la conservazione dell’ambiente. E non è colpa delle generazioni se non si risolvono, ma della politica che non ha funzionato».
E allora perché se ne parla?
«Siamo tutti brillanti solisti. I lamenti sono lamenti di singoli che non conoscono la fatica dell’agorà, dove le persone fisiche si ascoltano, si confrontano e tornano comunità. Sarebbe bello se per le prossime elezioni si incuneassero zone franche tra le trincee dove parlare di interessi comuni. E non solo per risolvere problemi (l’orizzonte resta limitato), ma per condividere speranze e progetti. È così che si vincono le sfide. È la Sagrada Familia, è l’utopia di iniziare a costruire qualcosa che saranno i tuoi nipoti a vedere finito».