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10 Maggio 2023
di Giovanni Bianconi
Il ricordo, dagli anni di piombo alle stragi: «Sulle bombe di mafia mancano pezzi di verità»
ROMA La voce del brigatista rosso che al telefono indica dove recuperare «il corpo dell’onorevole Aldo Moro» risuona nel Salone dei corazzieri, al palazzo del Quirinale, con tutto il peso della cupezza in cui gettò il Paese quarantacinque anni fa, il 9 maggio 1978, quando i suoi assassini comunicarono l’esecuzione del presidente della Democrazia cristiana sequestrato cinquantacinque giorni prima.
«Ma non sono stati i terroristi a fare la storia italiana», ammonisce poco dopo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, bensì le loro vittime: «Servitori dello Stato, che hanno posto a rischio la propria vita per combattere violenza ed eversione; persone che nelle fabbriche, nelle università, nei vari luoghi di lavoro, hanno opposto un no, fermo e deciso, a chi voleva ribaltare le regole democratiche». E infine «le famiglie a cui la lotta armata o i vili attentati hanno strappato un coniuge, un figlio, un genitore, un fratello o una sorella».
Nel giorno scelto per ricordare tutti i caduti nei cosiddetti «anni di piombo» — che furono anche anni di tritolo e di apparati responsabili di depistaggi e occultamenti di verità — il capo dello Stato elenca i nomi di alcuni di loro, uccisi cinquanta, quaranta, trenta e venti anni fa, in una sorta di percorso della memoria nel quale entrano anche le vittime degli «attentati di matrice terroristico-mafiosa» avvenuti a Firenze, Roma e Milano nel 1993: «Stragi ancora in cerca di verità e giustizia», scandisce Mattarella, nonostante le condanne ormai definitive di mandanti ed esecutori appartenenti a Cosa nostra. A conferma che c’è altro da scoprire.
L’elenco delle vittimeRisalgono a mezzo secolo fa, invece, le morti dell’agente ventiduenne di polizia Antonio Marino «ucciso con una bomba a mano a Milano da appartenenti al gruppo neo-fascista “la Fenice”» durante i tumulti per una manifestazione non autorizzata indetta dal Movimento sociale italiano (da cui discende Fratelli d’Italia, il partito del presidente del Senato Ignazio la Russa e della premier Giorgia Meloni che ascoltano seduti in prima fila), e dei fratelli Virgilio e Stefano Mattei, uccisi a 22 e 10 anni d’età nel «rogo di Primavalle», a Roma, solo perché figli di un esponente locale del Msi. E ancora i quattro morti e 52 feriti provocati dalla bomba lanciata davanti alla Questura di Milano il 17 maggio 1973 da un sedicente anarchico: una «provocazione per mascherare la mano stragista come era avvenuto per piazza Fontana e come avverrà a Brescia l’anno successivo», ricorda Benedetta Tobagi, figlia di Walter, il giornalista del Corriere assassinato da aspiranti brigatisti rossi nel 1980.
L’elenco del capo dello Stato prosegue con le vittime del 1983: dalla vigilatrice del carcere romano di Rebibbia Germana Stefanini, sequestrata e uccisa da terroristi rossi, a Paolo Di Nella, ventenne attivista missino assalito mentre attaccava manifesti; Mattarella ricorda la visita del suo predecessore Sandro Pertini al capezzale di quel giovane, «per portare la sua solidarietà e compiere un gesto di pacificazione, rivolto ai giovani di opposte fazioni rimasti irretiti nella rete nefasta della violenza e della vendetta».
L’assalto e gli anticorpiPoi i dieci caduti nelle stragi mafiose sul continente e infine, nel 2003, l’omicidio dell’agente di polizia Emanuele Petri per mano dei neo-brigatisti Mario Galesi e Nadia Lioce, epigoni di una strategia che si voleva riproporre colpendo bersagli inermi come Massimo D’Antonia e Marco Biagi, professori messisi a disposizione di differenti governi per promuovere riforme nel mercato del lavoro. Tutti morti in un assalto alla Repubblica che, ricorda Mattarella, «ha saputo produrre i suoi anticorpi, ben sapendo che un clima di scontro violento, parole d’odio, l’avversario trasformato in nemico da abbattere, costituiscono modalità patologiche della contesa politica che, oggi come allora, vanno condannate e respinte con decisione».
Nel salone gremito di familiari delle vittime, rappresentanti di partiti politici e vertici di istituzioni tuttora impegnate a salvaguardia dei principi democratici e costituzionali, il presidente della Repubblica ricorda anche responsabilità che vanno oltre gli autori dei singoli atti terroristici. Parla di «stragi talvolta compiute con la complicità di uomini da cui lo Stato e i cittadini avrebbero dovuto ricevere difesa»; di «cattivi maestri che hanno sostenuto e propagandato la violenza politica»; di «gravi deviazioni compiute da elementi dello Stato, e per le quali avvertiamo ancora l’esigenza, pressante, di conoscere la piena verità». È l’altro messaggio che arriva dal Colle più alto: la stagione del terrorismo s’è chiusa, non quella della ricerca su ciò che accadde davvero. E perché.