di FILIPPO SANTELLI
ROMA
L’escalation tariffaria tra le due sponde dell’Atlantico rischia di travolgere un settore simbolo del made in Italy: il vino. Il giorno dopo la ritorsione annunciata dell’Europa contro i dazi americani su acciaio e alluminio, che prende di mira tra le altre cose il whisky, Donald Trump rilancia minacciando tariffe del 200% contro le bevande alcoliche importate negli Stati Uniti. Aveva in mente lo champagne francese, citato nel suo post sul social Truth, ma tra “gli altri Paesi” colpiti ci sarebbe anche l’Italia, il cui flusso di Prosecco, Chianti & Co. verso gli Stati Uniti vale 2 miliardi di euro e ora potrebbe sbattere contro un muro invalicabile alla dogana.
Aziende e associazioni della filiera vitivinicola tricolore, da Coldiretti (fieramente protezionista quando si parla di cibo italiano) a Federvini, hanno levato in coro un grido di allarme, spiegando che senza il suo primo mercato di export il settore sarebbe a rischio. Per il momento la minaccia di Trump è a orologeria, ma ha buone possibilità di scattare. I controdazi Ue, tra cui quelli fino al 50% sul bourbon americano, preso di mira anche perché prodotto in Stati repubblicani, scatteranno il primo aprile se nel frattempo gli Stati Uniti non cancelleranno le tasse al 25% imposte da mercoledì su acciaio e alluminio. Per evitare l’escalation ci vorrebbe un negoziato, che al momento non è neppure iniziato.
«Chiediamo agli Stati Uniti di revocare subito le tariffe in vigore e vogliamo negoziare per evitarne in futuro », ha detto ieri un portavoce della Commissione. Per Bruxelles, rispondere in maniera proporzionata è necessario per spingere Trump al tavolo e non arrivarci sotto scacco. Molti settori a rischio “occhio per occhio”, come agroalimentare e farmaceutica, chiedono invece di cercare il dialogo evitando nel frattempo reazioni, come fa il Regno Unito.
L’obiettivo di Trump è anche dividere la Ue, cosa che finora non è avvenuta. «È importante che noi europei dimostriamo chi siamo e non cediamo alle minacce», ha detto il premier francese François Bayrou. Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, vedrà oggi al G7 l’omologo americano Marco Rubio e gli dirà «che una guerra commerciale non conviene a nessuno».
Ieri in Borsa sono caduti i grandi gruppi europei delle bevande alcoliche: Lvmh di Bernard Arnault, presente all’inaugurazione di Trump, ha ceduto lo 0,8%; Remy Cointreau il 4,7%; l’italiana Campari il 4,3%, la peggiore a Piazza Affari. Nel complesso è stata una giornata negativa per i listini del Vecchio Continente, ma peggiore per Wall Street, che estende la sua striscia rossa. Il Nasdaq ha perso l’1,96%, l’S&P 500 l’1,4%, scivolando oltre dieci punti sotto i massimi, cioè in territorio di “correzione”: incertezza e dazi fanno anche più male all’America. IlFinancial Times racconta che perfino Tesla, mentre il suo patron Elon Musk sostiene Trump a spada tratta, ha inviato una lettera non firmata al governo in cui spiega che una guerra commerciale impatterebbe sui costi di produzione negli Usa. Intanto l’oro, bene rifugio per eccellenza, tocca un nuovo record.