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Mediobanca si prepara a una delle assemblee più delicate della sua storia recente. Il 21 agosto i soci dovranno decidere se dare il via all’offerta pubblica di scambio (Ops) da 6,3 miliardi su Banca Generali, mossa che il ceo Alberto Nagel considera strategica per creare un leader nazionale nella gestione del risparmio.
Per votare, bisognava essere azionisti alla chiusura di ieri. Con un’affluenza attesa vicina all’80% del capitale, servirà circa il 40% dei voti favorevoli per approvare l’operazione.
Il fronte contrario è ampio. In prima linea c’è Francesco Gaetano Caltagirone (quasi 10% del capitale), che denuncia “gravi carenze informative” sugli accordi tra Mediobanca, Generali e Banca Generali. Secondo lui, senza un quadro chiaro si starebbe concedendo una “delega in bianco” al cda, e la decisione dovrebbe passare con una maggioranza qualificata di due terzi. Con lui ci sono Delfin (20%), alcune casse previdenziali, i Benetton e fondi come Amundi e Anima, tutti orientati verso il no o l’astensione.
Dall’altra parte, a sostenere Nagel ci sono fondi istituzionali e speculativi che valgono circa un quarto del capitale, il patto Mediobanca, Unipol e investitori come BlackRock, che hanno aumentato le loro quote. I proxy advisor internazionali raccomandano di votare sì, evidenziando il premio di prezzo dell’operazione e il rafforzamento strategico che ne deriverebbe.
Sul fondo resta un’altra partita: quella di Mps, che il 14 luglio ha lanciato la propria Ops su Mediobanca, in scadenza l’8 settembre. Se Mediobanca dovesse ottenere il via libera per l’operazione su Banca Generali, il valore del titolo potrebbe salire, costringendo Siena a rivedere al rialzo la propria offerta.
La strada, però, è tutt’altro che semplice. A giugno i contrari stimati erano intorno al 42% e la distanza dalla soglia necessaria per vincere rimane ampia. Intanto, la scelta di anticipare l’assemblea rispetto alle date previste ha acceso nuove polemiche, e l’incognita principale – la chiarezza sugli accordi con Generali – continua a pesare.