La frase finale è un colpo per il Gruppo Caltagirone e Delfin.
29 Gennaio 2025Benvenuti su Outlook, la newsletter di Repubblica che analizza l’economia, la finanza, i mercati internazionali. Ogni mercoledì parleremo di società quotate e no, di personaggi, istituzioni, di scandali e inchieste legate a questo mondo. Se volete scrivermi, la mia mail è w.galbiati@repubblica.it.
Buona lettura,
Walter Galbiati, vicedirettore di Repubblica
“Questa è un’operazione che parte da lontano, è quella che aveva immaginato Leonardo Del Vecchio”, hanno sussurrato a Repubblica ambienti vicini a Delfin, la holding degli eredi del fondatore del colosso dell’occhialeria EssilorLuxottica, oggi guidata da Francesco Milleri, riferendosi all’Ops del Monte dei Paschi su Mediobanca.
Flashback. Si deve tornare indietro nel tempo, almeno al 2018, per coglierne il senso, scaturito dai dissapori tra Del Vecchio e il management di Piazzetta Cuccia e, almeno all’estate del 2020, per capire perché ora serva un cavallo di Troia come il Monte dei Paschi per tentare la scalata alla più importante banca d’affari italiana.
Il pomo della discordia. Nel 2018, Del Vecchio aveva comprato il 18% dello Ieo, l’Istituto europeo di oncologia, eccellenza milanese, e con una donazione di 300 milioni avrebbe voluto creare una Fondazione per costruire una cittadella ospedaliera.
Il veto di Mediobanca. Il progetto, però, fu bloccato dagli altri soci, una sorta di salotto buono della finanza in cui sedevano oltre a Mediobanca, primo azionista col 25% guidata da Alberto Nagel, Banca Intesa, Generali, Unipol, Allianz, Pirelli, Mediolanum, Edison, Telecom, Rcs e altri che hanno preferito mantenere una gestione più collegiale.
Il conflitto si allarga. Da lì lo scontro con il management di Piazzetta Cuccia ritenuto l’artefice dell’opposizione al progetto non è mai più rientrato, anzi la contesa si è allargata e trasferita, prima in Mediobanca e poi sul suo principale asset, Generali.
L’accusa. Come nella vicenda relativa allo Ieo, anche in tutte le altre partite, Del Vecchio, forte della sua capacità di creare un colosso come EssilorLuxottica, ha sempre accusato i vertici di Mediobanca di ragionare “in piccolo” e alle accuse ha fatto seguire i fatti, rastrellando i titoli delle società interessate.
L’ascesa in Mediobanca… Nel 2019, l’anno dopo lo scontro sullo Ieo, Del Vecchio ha annunciato a sorpresa di aver comprato il 6,9% di Mediobanca, sostenendo di aspettarsi “un nuovo piano industriale che non basi i risultati solo su Generali e Compass, ma progetti un futuro da banca di investimenti”.
… e in Generali. L’esordio critico non si è fermato e si è allungato anche sulle Generali, dove la quota che nel 2018 era di poco superiore al 3,2% è iniziata a crescere fino ad arrivare all’attuale 10%, mentre quella in Mediobanca è salita al 19,9%.
Le affinità elettive. La contesa, con momenti più o meno acuti, ha visto schierarsi al fianco di Del Vecchio, e ora dei suoi eredi, anche il gruppo Caltagirone, azionista altrettanto critico verso Mediobanca (di cui detiene il 7,7%) soprattutto per la gestione di Generali, dove anche il costruttore romano è azionista con il 6,9%.
Le ripetute sconfitte. Eppure, nonostante la consistente mole di titoli acquistati che alle quotazioni di oggi valgono oltre 11,5 miliardi, sia in Mediobanca che in Generali l’opposizione delle famiglie Del Vecchio e Caltagirone ad Alberto Nagel non ha mai avuto la meglio in assemblea perché il mercato, ovvero i grandi fondi di investimento, si sono sempre schierati con il management e la lista del cda.
L’opa impossibile. Sarebbe stata necessaria una generosa offerta di acquisto per sparigliare le carte, ma difficile da realizzare perché onerosa su Generali che capitalizza 47 miliardi e impossibile su Mediobanca perché osteggiata dalla Bce.
Le quote rilevanti. Mentre le quote del gruppo Caltagirone sono rimaste sempre sotto le soglie rilevanti (10, 20, 30, 40, 50%) per gli organismi di vigilanza (Bce, Banca d’Italia e Ivass), Delfin si è spinta oltre e ha testato l’umore dei controllori.
La richiesta alla Bce. Nell’agosto 2020, ha ottenuto l’autorizzazione dalla Bce a salire sopra la soglia rilevante del 10%, ma con precise raccomandazioni, come traspare da un documento pubblicato da Banca d’Italia.
Via libera a salire … “Il 26 agosto – si legge – su conforme proposta della Banca d’Italia, la Bce ha comunicato alla Delfin S.à r.l. (il cui azionista di maggioranza è Leonardo Del Vecchio) di non avere obiezioni all’eventuale incremento della quota del capitale di Mediobanca da essa detenuta”.
… ma senza controllo. “Per effetto della decisione, Delfin potrà aumentare la propria partecipazione senza raggiungere o superare la soglia del 20% e senza esercitare il controllo, neppure di fatto, su Mediobanca, facoltà per le quali sarebbe necessaria un’ulteriore e previa istanza autorizzativa”.
Delfin ha quindi portato la propria partecipazione al limite massimo del 19,9%, ma attraverso questa partecipazione non può esercitare il controllo su Mediobanca, nominando per esempio i vertici o indirizzando le scelte.
La richiesta a Ivass. Lo stesso è avvenuto in Generali, dove ha chiesto la possibilità di salire oltre il 10% a seguito di un buy back del gruppo che ha fatto scattare il superamento della quota rilevante dal precedente 9,9%.
Tuttavia, non può esercitare il controllo per il quale serve un’apposita approvazione dell’Ivass.
Le holding finanziarie. Chiunque può detenere titoli di banche e assicurazioni, ma per averne il controllo la Bce e l’Ivass richiedono che le holding che lo esercitano abbiano gli stessi requisiti patrimoniali delle società controllate per garantire i risparmiatori e siano sottoposte a vigilanza.
Le public company. Se invece sono public company, ovvero società senza soci di riferimento il problema non si pone, perché la guida del gruppo viene espressa dalla società stessa attraverso la lista del cda.
La “Legge Capitali”. Ora bloccata la strada del mercato dalle authority di vigilanza, Delfin e il gruppo Caltagirone potrebbero tentare di cavalcare le nuove regole sulla lista del cda introdotte dal governo Meloni.
Emendando il testo unico della finanza, scritto da Mario Draghi, il governo ha reso infatti la presentazione della lista del cda, utilizzata per eleggere i vertici di Mediobanca e Generali, tanto farraginosa, complessa e punitiva per chi la propone da far saltare sulla sedia tutti gli investitori istituzionali con il risultato che alla prossima tornata di assemblee nessun board deciderà di presentarla.
La lista di Mediobanca. Mediobanca ha deciso di proporre per Generali una propria lista, mentre in passato aveva sostenuto quella del management uscente. In questo modo si potrebbe di nuovo concretizzare in assemblea una vittoria, come tre anni fa, di Mediobanca, tanto che Delfin e Caltagirone hanno deciso di agire in altro modo.
Lo “scippo” francese. Il casus belli è stata l’operazione con Natixis. Nonostante questa volta Generali non abbia presentato un piano “in piccolo”, proponendo di creare un colosso del risparmio gestito da 2mila miliardi con i francesi, i due soci forti hanno criticato l’operazione, accusandola di mettere a rischio il risparmio degli italiani con la possibilità di finire all’estero, tirando così dalla propria parte il governo Meloni, che ha subito ventilato l’uso del golden power per bloccare la joint venture.
La via per agire si chiama Monte dei Paschi. Il governo dopo aver cambiato le norme sulla lista del cda e sventolato il golden power su Generali, ha deciso però di muoversi usando come arma di attacco il Monte dei Paschi, di cui attraverso il Mef possiede l’11,7%
Al suo fianco si sono schierati Caltagirone e Delfin entrati di recente con l’ultima tranche di vendita del Tesoro rispettivamente con il 5% e il 9,7% della banca senese, quote che valgono quasi il 15%, ma che singolarmente sono al di sotto delle soglie rilevanti per la Bce.
Il cavallo di Troia. Monte dei Paschi è diventato così il cavallo di Troia per scalare Mediobanca e a cascata Generali. Perché se è vero che è una banca e rispetta i vincoli che la Bce impone a chi vuole controllare gli istituti di credito e le compagnie assicurative, nasconde tuttavia in pancia gli stessi azionisti, Delfin e Caltagirone, che da sempre si oppongono al management di Mediobanca e vogliono controllarla.
Il nuovo azionariato. Ora al di là dei valori finanziari dell’operazione, se dovesse andare in porto l’offerta pubblica di scambio di Monte dei Paschi su Mediobanca e si arrivasse al 66,7% del capitale per fondere insieme le due banche, in virtù delle partecipazioni incrociate, Delfin si ritroverebbe ad essere il primo azionista del nuovo gruppo con il 16%, Caltagirone il secondo con il 6,7% e il Mef il terzo con il 5%.
Quanto basta. Ma anche nel caso in cui non si procedesse alla fusione, Monte dei Paschi potrebbe raccogliere con l’Ops una quota sufficiente (50,1%) per imporre il proprio management in Mediobanca.
Alla nuova banca farebbe capo anche il 13% di Generali che affiancato alle quote di Delfin e Caltagirone, garantirebbe anche il controllo della compagnia assicurativa.
Ora resta da capire se questa operazione, simile a quella dei Greci per far cadere Troia, vada bene alle autorità di vigilanza bancaria e assicurativa per i requisiti richiesti agli azionisti di controllo e all’Antitrust europeo per la presenza dello Stato in un’operazione che dovrebbe invece essere di mercato.