L’ad Nagel sull’offerta di Montepaschi: “Gli investitori non sceglieranno sulla base della politica”
michele chicco
Alberto Nagel potrebbe mettere sul mercato il 13,1% che Mediobanca custodisce di Generali, per finanziare fusioni e acquisizioni. Un capitolo nuovo per il risiko che si aprirebbe solo se dovesse fallire l’offerta pubblica di scambio che Montepaschi ha promosso su piazzetta Cuccia. A disegnare lo scenario è Nagel, parlando alla platea di investitori riuniti a Londra da Morgan Stanley. «Possiamo utilizzare l’eccesso di capitale o anche la nostra quota in Generali» per sostenere operazioni di «consolidamento», ha detto l’amministratore delegato. Il 13,1% che fa di Mediobanca il primo azionista del Leone vale, prezzi di Borsa alla mano, poco meno di 7 miliardi di euro. «Abbiamo tutte le opzioni disponibili», ha sottolineato il top manager che lavora pancia a terra alla difesa di piazzetta Cuccia dall’attacco senese.
L’offerta di Mps, ieri a sconto dell’1,9%, «non è positiva né per la banca né per i nostri soci. Non vediamo sinergie», ma semmai «importanti dissinergie» che «non possono essere compensate dal taglio dei costi», stimati ad un livello «abbastanza ambizioso». L’amministratore delegato ha difeso il modello di «private investment banking che ha garantito un ritorno del 13% in meno di 18 mesi» e ha assicurato di aver incassato il sostegno di clienti e banker, sponsor di una Mediobanca stand-alone. «Sono contenti del nostro modello di business. Anche con uno scenario incerto, e nei momenti difficili, abbiamo saputo raggiungere o superare gli obiettivi».
A decidere del futuro di Mediobanca saranno i soci. Nessun timore che la politica possa influenzare la loro decisione, anche se il Tesoro guarda sempre con interesse al futuro di Mps essendo suo primo azionista. «La maggior parte del nostro capitale è di investitori istituzionali e di qualche investitore privato: prenderanno le loro decisioni in base alla convenienza, non in base alla politica», ha evidenziato il top manager. «Il fattore cruciale sarà scegliere in quale azione investire, quali rischi prendere». Nagel ne ha anche per i soci di Montepaschi, che il 17 aprile sono chiamati a votare a favore o contro l’aumento di capitale funzionale all’offerta. «Pensiamo che questa operazione sia in grado di generare una diluizione a doppia cifra in termini di utile per azione e nel rapporto tra gli utili distribuiti e il numero di azioni di Montepaschi».
Dai banker di Morgan Stanley anche l’amministratore delegato di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, che da piazza Meda organizza la resistenza a Unicredit. «Non siamo in un mood difensivo, siamo una public company e abbiamo un azionista importante: dobbiamo essere sicuri che un’offerta sia in linea con il reale valore della banca». Quella di piazza Gae Aulenti, ha ribadito, «è a sconto dal principio. Non penso che nessuno dei nostri azionisti la stia considerando». La stessa ex Popolare Milano ha in corso un’offerta su Anima, sulla quale pende ancora il via libera della Bce ai benefici patrimoniali del Danish Compromise: «Siamo sicuri che arriverà», ha tagliato corto Castagna. «La regola c’è, noi siamo già un conglomerato finanziario». Ma se non dovesse arrivare, ha ricordato, l’impatto sarà solo «sulla possibilità di distribuire 1 miliardo in più».