
La nuova Legge sulla Montagna: un’occasione dimezzata
11 Novembre 2025di Pierluigi Piccini
L’esclusione di Simone Bezzini dalla nuova Giunta regionale non è soltanto una vicenda interna al Partito Democratico. È il segnale di una crisi più profonda: un partito che, in Toscana come a livello nazionale, fatica a tenere insieme identità, governo e rappresentanza.
Il veto imposto dalla segreteria regionale e confermato dalla direzione nazionale, nonostante la volontà di Eugenio Giani di riconfermarlo, rivela la logica dominante: contare gli equilibri interni più che la capacità di governo. Si preferisce la gestione del potere alla responsabilità della scelta. È un PD che guarda a sé stesso invece che al Paese reale.
Non si tratta di difendere un nome, ma di capire un metodo. Bezzini non è un uomo forte in senso tradizionale, ma ha lavorato, con risultati discutibili come chiunque abbia gestito la Sanità in anni difficili. Il suo profilo – politico, territoriale, riconoscibile – rappresentava però quel tipo di classe dirigente autonoma che oggi il partito sembra non voler più tollerare: chi costruisce consenso con il lavoro, non solo per appartenenza.
Il problema, allora, è il PD.
Un partito che teme il dissenso e disinnesca ogni leadership intermedia finisce per indebolire sé stesso e la propria capacità di governo. È una deriva che parte dalla Toscana ma attraversa tutto il partito: la distanza crescente tra vertice e territori, tra la politica dei simboli e quella delle cose.
La sinistra toscana è stata a lungo un laboratorio di governo e di innovazione. Oggi appare bloccata in una guerra di correnti, priva di visione e di coraggio. Si discute di equilibri e non di sanità pubblica, di lavoro, di servizi per le aree interne. Si scelgono gli assessori, ma non le priorità.
Intanto la società si sfalda. La sanità è in affanno, i giovani se ne vanno, le zone periferiche si spopolano. Un partito che cerca sicurezza nel controllo perde progressivamente la propria funzione storica: rappresentare il cambiamento, non subirlo.
Il PD toscano – e con esso quello nazionale – deve decidere se vuole essere forza di governo o semplice comitato elettorale. Un partito che rappresenta i territori o una macchina che li commissaria.
L’esclusione di oggi non è un dettaglio. È un campanello d’allarme.
Se il PD continua a rinunciare a figure capaci di interpretare il territorio e di esprimere visione, la sconfitta non sarà un rischio, ma una scelta.
Meglio perdere che vincere: sembra questo l’istinto dominante.
Ma chi governa solo per mantenere un equilibrio finisce per perdere anche sé stesso.
E, in fondo, c’è un errore politico ancora più grave.
Perché Emiliano Fossi, nel suo calcolo di potere, sembra aver dimenticato che nel 2028 si voterà a Siena. E allora si capirà quanto possa costare, nel tempo, una decisione presa oggi solo per chiudere un conto interno.





