Il governo Meloni ha scelto di trasformare la cronaca in emergenza politica, cavalcando l’onda emotiva con la risposta immediata che ormai è diventata il tic dell’esecutivo: il carcere e le misure cautelari, che sarà più facile disporre anche per i minori.

«Non le considero norme repressive ma di prevenzione, perché se l’uso dei minorenni si è allargato nelle pratiche criminali è perché le conseguenze sono lievi. Per paradosso, per tutelare i minori li abbiamo esposti ancora di più», è stato il ragionamento di Giorgia Meloni. In pratica, secondo la premier il carcere servirebbe a salvare i ragazzi (così come il daspo urbano e la possibilità di arrestare i genitori che non mandano i figli a scuola).

«Coniughiamo la necessità della repressione della delinquenza minorile con la necessità di consentire ai minori un percorso rieducativo», ha tentato di ridimensionare il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Tuttavia, la linea è quella di Meloni. La parte più sostanziale del decreto a doppia matrice Giustizia e Interni approvato ieri dal Consiglio dei ministri prevede soprattutto l’allargamento dei presupposti per la misura cautelare ai minori prevedendo anche per loro l’ipotesi di pericolo di fuga, «allineandola a quella degli adulti».

A diciotto anni, inoltre, nei casi di maggior pericolosità del giovane, scatta il «possibile trasferimento nelle carceri ordinarie». Oltre al daspo urbano allargato ai minori, inoltre, vengono previsti la possibilità di arresto e pena detentiva in caso di reati connessi agli stupefacenti, violenze e minacce anche in caso di lieve entità. Misure durissime.

Anche in quelle periferie a cui il governo intende dare risposte di natura penale, l’esperienza di chi ogni giorno si confronta con la devianza minorile offre da tempo risposte diverse.

I NUMERI

Secondo i dati del ministero della Giustizia, il numero di minori presi in carico dai servizi social in seguito a denunce è rimasto tendenzialmente stabile negli ultimi anni, con una leggera flessione al ribasso nel periodo del Covid. Nel 2018 gli under 18 presi in carico erano 21.305, sono diminuiti fino ai 19mila nel 2020 per poi tornare a crescere nel 2021 (20.797) fino ai 21.551 nel 2022. Lo stesso si è verificato per gli ingressi negli istituti penali per i minorenni, che nel 2022 sono tornati leggermente sopra le 1000 unità come erano nel 2018, dopo una diminuzione a 700 nel 2020.

Infatti, «l’età imputabile è già fissata a 14 anni e i lavori socialmente utili, con le messe alla prova, le sperimentazioni di giustizia riparativa e di mediazione penale sono già presenti nel diritto penale minorile», commenta il presidente del tribunale dei minori di Trento, Giuseppe Spadaro. Se il quadro penale complessivo non è drasticamente cambiato tanto da imporre strette securitarie, il vero dato di contrazione riguarda invece il contesto. Nonostante la giustizia minorile sia al centro di grandi cambiamenti con la riforma Cartabia, a fine 2022 la scopertura media di magistrati minorili era del 12 per cento, ma con picchi del 33 per cento al tribunale dei minori di Napoli e del 27 in quello di Palermo.

Carenze ancora più gravi, invece, si attestano tra gli assistenti sociali. La Cgil Funzione Pubblica ha elaborato dei dati per cui, a mancare, sarebbe addirittura del 50 per cento, con poco più di 15mila assistenti sociali rispetto ai 30mila necessari tra psicologi, educatori e altre figure destinate al sostegno delle famiglie in difficoltà.

«Le risorse finalizzate alle assunzioni ci sono, ma sono stati spesi solo il 40 per cento degli stanziamenti messi a disposizione degli ambiti territoriali sociali», denuncia il sindacato. Per altro, con una spesa estremamente disomogenea da nord a sud. I dati del ministero del Lavoro risalgono al 2018, ma mostrano come la media pro capite spesa al nord-est sia di 177 euro, i 58 euro del meridione. «Ma il vero problema è quello di non depotenziare la tutela», continua Spadaro, perché «negli anni si è alimentata una immagine di servizi sociali e giustizia minorile nemici delle famiglie, e non invece presidi a protezione dell’infanzia maltrattata».

La devianza criminale nei minori, infatti, ha come causa profonda il fatto che i bambini crescano «soli in situazioni di deprivazione, di abbandono o di violenza, senza aiuti e senza la possibilità di altre relazioni sane con adulti interessati a loro. Disinvestire sulla tutela dei bambini produce inevitabilmente una fascia più ampia di adolescenti sofferenti, sia che agiscano contro se stessi o contro gli altri».

GLI STRUMENTI

Anche per questo immaginare come soluzione l’inasprimento delle pene rischia di avere l’effetto contrario e di aumentare l’emergenza sociale. «Ci sono studi di ogni genere che dimostrano come le pene detentive e la diminuzione dell’età imputabile rischi di produrre l’effetto opposto, aumentando il tasso di criminalità», spiega Silvia Albano, magistrato romano e membro dell’Anm che per anni si è occupata di minori.

«La devianza minorile, infatti, è un sintomo di disagio del minore e della famiglia, che andrebbe intercettato e prevenuto potenziando i servizi sul territorio», che sono, per i magistrati minorili, «le sentinelle per attivare misure di protezione dei minori che vivono in contesti violenti. Bisogna agire quando si è ancora in tempo per recuperare il ragazzo, togliendolo dal tessuto criminale».

Come con gli adulti, del resto, anche per i minori il dato sulla recidiva dimostra come la repressione penale produca solo una spirale di violenza.

Sempre secondo i dati del ministero della Giustizia, il tasso medio di recidiva dei minori che hanno sperimentato percorsi alternativi di messa alla prova è del 19 per cento, contro il 29 di chi ha seguito un iter processuale tradizionale. Il problema è che anche questo avviene «a macchia di leopardo», spiega Spadaro.

«L’emotività è sempre cattiva consigliera del legislatore penale, lo è ancora di più quando si interviene nel diritto penale minorile», è il commento di Stefano Musolino, segretario di Md e procuratore aggiunto a Reggio Calabria, secondo cui ancora una volta la scorciatoia del governo è quello di attribuire «compiti salvifici» al diritto penale, «guardato con sospetto quando coinvolti sono i colletti bianchi, mentre buono per anestetizzare le paure, generate dalla criminalità di strada».