
Mps–Mediobanca, il Pd diviso tra orgoglio locale e diffidenze nazionali
7 Settembre 2025
Imagine all the people
7 Settembre 2025
di Pierluigi Piccini
L’operazione Monte dei Paschi–Mediobanca non è una semplice partita finanziaria: è una scommessa che può ridisegnare gli equilibri del sistema bancario italiano, aprendo la strada a un terzo polo nazionale. Ma, al di là delle narrazioni ufficiali, la traiettoria più verosimile non punta a una fusione piena oltre il 66%, bensì a superare la soglia del 50%+1 e fermarsi lì.
Il superamento del 35% minimo ha già dato un primo segnale, ma è oltre il 50% che MPS ottiene i veri vantaggi: consolidamento nei conti, utilizzo accelerato delle DTA, controllo sulla governance e possibilità di avviare un piano industriale coerente. Il 66%, soglia che consentirebbe la fusione completa, comporterebbe invece costi e rischi immediati che oggi nessuno sembra davvero voler assumere. Più che un traguardo strategico, appare un obiettivo rinviato, forse per una fase successiva, quando i mercati e la politica saranno più favorevoli.
Con il 50% superato, il Monte avrebbe in mano la governance di Mediobanca. Le grandi decisioni strategiche, dall’allocazione del capitale al rapporto con Generali, passerebbero sotto la regia di Siena. E soprattutto, le mediazioni non sarebbero più il frutto di compromessi esterni tra azionisti, ma verrebbero gestite all’interno dello stesso gruppo, garantendo coerenza e rapidità. Mediobanca, per decenni il centro nevralgico della finanza italiana, diventerebbe così il braccio operativo di una strategia definita altrove.
Le difficoltà però non sono solo numeriche. L’integrazione porta con sé un mare di problemi: differenze culturali profonde, rischio di perdita di talenti, calo della produttività nei mesi di transizione, sindacati sul piede di guerra e inevitabili tensioni politiche per gli esuberi. È proprio il capitale umano di Piazzetta Cuccia, quel mix di relazioni internazionali e competenze nell’investment banking, a rappresentare il vero valore di Mediobanca. Ma è anche ciò che rischia di evaporare più facilmente se l’operazione venisse gestita con rigidità o miopia.
Da anni, il punto debole del Monte non è la strategia ma la gestione. La banca senese porta sulle spalle una lunga storia di salvataggi e ristrutturazioni che hanno impoverito capitale umano e ridotto la capacità di visione. L’operazione Mediobanca è il banco di prova definitivo: se la squadra di Lovaglio saprà garantire continuità e fiducia, l’acquisizione potrà avere senso. Se invece prevarranno logiche burocratiche o di pura finanza, il rischio è trasformare un investimento da oltre 13 miliardi nel più costoso passivo della storia bancaria italiana.
Il mercato rimane scettico: il premio offerto agli azionisti è giudicato limitato e gli advisor di Mediobanca hanno sottolineato le complessità dell’integrazione. Ma è proprio questo che spiega perché MPS non cercherà di correre oltre il 66%. Con il 50% superato, il Monte ottiene già tutti i vantaggi industriali e fiscali, evitando di aprire subito il vaso di Pandora di una fusione integrale.
Il destino di questa operazione si giocherà dunque su un punto preciso: raggiungere il controllo effettivo, fermandosi prima della fusione totale. Con il 50% superato, MPS non solo conquista i benefici industriali e fiscali, ma porta in casa la governance di Mediobanca, rendendo le mediazioni un fatto interno al gruppo. È una strategia prudente ma realistica: costruire il terzo polo bancario nazionale senza precipitare in un’avventura più grande delle proprie forze.