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Monte dei Paschi ha quasi raggiunto il traguardo che si era prefissato. Con l’offerta pubblica di scambio su Mediobanca, rafforzata da un incremento in contanti di circa 0,90 euro per azione, l’istituto senese ha ottenuto adesioni pari al 38,5 per cento, superando così la soglia minima del 35 per cento necessaria per rendere valida l’operazione. Un risultato significativo, arrivato nonostante l’opposizione del consiglio di amministrazione di Mediobanca, che continua a giudicare l’offerta priva di una logica industriale convincente e poco conveniente per i suoi azionisti.
La partita però non è ancora chiusa. L’operazione terminerà ufficialmente l’8 settembre, ma è già prevista una finestra di riapertura tra il 16 e il 22 settembre per raccogliere ulteriori adesioni. L’esito finale determinerà il reale peso di Siena nella nuova governance. Se le adesioni supereranno il 50 per cento, l’operazione offrirà vantaggi fiscali e strategici importanti. Se invece si arriverà ai due terzi del capitale, circa il 66,7 per cento, Mps potrebbe esercitare un controllo molto più solido e prendere decisioni senza ostacoli strutturali.
Le difficoltà non mancano. La prima riguarda gli equilibri azionari: Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio, potrebbe superare con questa operazione la quota del 20 per cento in Mps, limite massimo fissato dalla Bce. In tal caso sarà necessario negoziare con Francoforte una riduzione graduale della quota o trovare una soluzione alternativa, con tempi e modalità ancora tutti da definire.
Un secondo nodo riguarda l’integrazione tra due realtà molto diverse. Mediobanca è storicamente una banca d’affari, concentrata su grandi operazioni finanziarie e rapporti con i gruppi industriali, mentre Mps ha un’impronta territoriale e popolare, basata su sportelli diffusi e clientela retail. Mettere insieme culture e modelli così distanti non sarà semplice: senza una fusione vera e propria le sinergie rischiano di ridursi, i costi di coordinamento potrebbero essere elevati e i benefici inferiori alle attese. Inoltre, restano le incognite legate alla convivenza tra management e clientele con esigenze molto diverse.
A pesare c’è anche lo scenario macroeconomico: il calo dei tassi d’interesse rende meno redditizia l’attività bancaria rispetto al biennio precedente, mentre i mercati hanno reagito con prudenza, penalizzando i titoli sia di Mediobanca che di Mps. Inoltre, agenzie di rating come Fitch hanno espresso dubbi sul futuro della nuova aggregazione.
Infine, restano aperti i giochi sulle nomine ai vertici della nuova Mediobanca. Tra i nomi circolati figura Vittorio Grilli, già direttore generale del Tesoro e oggi dirigente di Jp Morgan, segno che la partita si gioca anche su equilibri politici e rapporti con il governo.
Mps può quindi festeggiare un primo successo, ma il difficile comincia adesso. Le prossime settimane diranno se Siena riuscirà davvero a consolidare la vittoria o se la partita si trasformerà in un terreno scivoloso fatto di vincoli regolamentari, fragili equilibri tra soci e incognite di mercato.