Chiudono le piscine pubbliche Le società: “Bollette troppo alte”
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14 Settembre 2022
Alla vigilia dell’assemblea degli azionisti che sono chiamati a decidere il 15 settembre in merito all’aumento di capitale di 2 miliardi e mezzo, si moltiplicano interrogativi e dubbi sul futuro – e sul presente – della Banca Monte dei Paschi di Siena. Il confronto con i sindacati in merito agli esodi – ridotti a 3500 unità – è partito e si sta svolgendo in un clima positivo. Circolano però domande inquietanti che sovrastano questi aspetti. Ci si chiede quali intenzioni avrà il governo da insediare dopo le elezioni del 25 settembre. A dire il vero l’approvazione da parte della Commissione europea degli impegni assunti dall’Italia nel 2017 e il consenso accordato al piano industriale messo a punto dall’amministratore delegato Luigi Lovaglio disegnano una strada obbligata. Il governo che verrà fuori, quale che sia, non potrà che comportarsi in continuità con quanto stabilito. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non avrà da lavorare di fantasia, chiunque ne sia il titolare. Ha destato perciò sorpresa l’uscita del parlamentare leghista Claudio Borghi, spesso protagonista di irridenti provocazioni, che ha affidato a Twitter una curiosa minaccia: «se vinceremo le elezioni, faremo le cose a modo nostro». In realtà l’obiettivo da perseguire è quello di sfruttare al meglio l’allentamento di tempi concesso da Bruxelles per la concretizzazione del piano, lasciando perdere polemiche tese a rievocare errori, ostacoli e difficoltà che la banca ha affrontato lungo gli anni. Le ricapitalizzazioni del 2013 e del 2014, ad esempio, non hanno prodotto gli effetti previsti, anche se in compenso il peso dei crediti deteriorati si è notevolmente alleggerito. Si sa che il Ministero del Tesoro, che detiene il 64% del capitale di Rocca Salimbeni, dovrà sottoscrivere la sua quota parte di azioni (1,6 miliardi), mentre i restanti 900 milioni dovranno essere raggiunti dagli altri soggetti coinvolti in proporzione alla loro presenza. Ad accendere preoccupazioni non banali è stata la precisazione in base alla quale l’aumento potrebbe «eseguirsi in forma scindibile», cioè in più fasi e non d’un sol colpo entro novembre come’era stato detto. È evidente che l’ipotesi accennata scardinerebbe l’agenda e frenerebbe l’intera operazione. L’avvertimento scopre forse una diffidenza delle banche che avevano assunto un fondamentale ruolo di garanzia e di copertura nel caso non si fosse raggiunta la quantità necessaria? I rappresentanti dei piccoli azionisti hanno fatto sapere che voteranno contro l’aumento ed è comprensibile vista la diluizione che ne sortirebbe. I principali consulenti hanno controbattuto sollecitando invece il voto positivo di tutti i soggetti istituzionali. Ma a far rumore non sono tanto queste schermaglie, essendo praticamente certo l’esito. Negli ultimi tempi il titolo Mps ha subito vistosissimi cali e ora si aggira a quota 0,30 euro. Dall’inizio del’anno ha perso oltre il 60%. Dalla caduta del governo Draghi il 25%. La capitalizzazione della banca in termini borsistici si attesta sui 300 milioni. Ovviamente il fenomeno si presta a interpretazioni ambigue: c’è chi vi intravede manovre guidate tese a invogliare gli acquirenti favorendo speculazioni in grande stile, c’è chi ritiene la cosa un segnale favorevole: la spia più importante della facilitazione a vendere superando un delicatissimo passaggio. Di buono, si ammette, c’è la sicurezza della sopravvivenza del marchio delle banca in funzione più antica del mondo. Il che fa relegare in secondo piano il ridimensionamento che la banca subirebbe. La riorganizzazione illustrata punta a un’articolazione di Mps in due aree, facenti capo a Firenze e a Siena, promette più efficienza e rapidità, accentua il rilancio della natura retail («A clear and simple commercial bank» secondo la sbrigativa definizione dell’ad). Chi considerò illusoria, se non pericolosa, la trattativa avviata con Unicredit – sembra un secolo fa – non si lamenta più di tanto. Ma che il titolo abbia continuato a precipitare giorno dopo giorno induce malumore e amarezza. «Al suo esordio in borsa nel 1999 – impreca un esodando – il titolo Mps fu offerto a 3,84 euro e salì subito a 4 e qualcosa, ora è a zero-virgola: un capolavoro!». Si sa che il valore borsistico non riflette il valore reale complessivo, ma i numeri talvolta sintetizzano impietosamente decadimenti spaventosi. Un collega: «Si vende per risalire o si svende per chiudere un dossier spinoso?»
Roberto Barzanti
“L’Economia” , suppl. toscano “Corriere della se