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Nel novembre 2024, il Tesoro ha ceduto il 15% di Monte dei Paschi a quattro soggetti selezionati: Banco BPM, Anima, Delfin e Caltagirone. Tutti hanno presentato offerte identiche, con un premio del 5%, nel giro di nove minuti. A gestire l’operazione è stata Banca Akros, realtà minore e legata a BPM, scelta al posto dei tradizionali colossi della finanza internazionale.
Ora la Procura di Milano indaga. La Guardia di Finanza ha acquisito documenti per capire se ci sia stato un accordo segreto tra i partecipanti, con l’obiettivo di escludere altri investitori — come Unicredit, che pochi giorni dopo ha lanciato un’offerta pubblica su BPM. Il sospetto è che l’operazione sia stata guidata da logiche politiche, per costruire un terzo polo bancario vicino alla maggioranza di governo.
Quella vendita-lampo, nata per soddisfare le richieste dell’Europa sul disimpegno pubblico, ha innescato uno scontro ai vertici della finanza italiana: Unicredit contro BPM, Mps contro Mediobanca, e ora Mediobanca su Banca Generali. Un risiko che intreccia banche, potere e partite politiche.
In attesa del verdetto europeo sul golden power, resta una domanda aperta: la privatizzazione di Mps è stata una vera operazione di mercato o una partita chiusa in anticipo tra pochi giocatori ben collegati?