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15 Novembre 2025Cédric Enjalbert
Uno spettacolo-fiume è attualmente in scena agli Ateliers Berthier del Théâtre de l’Odéon, a Parigi: Musée Duras, di Julien Gosselin. Attenzione: dura dieci ore! Il concept? Mettere in scena non “tutta Duras”, ma piuttosto tutta la scrittura di Marguerite Duras, attraverso cinque proposte sceniche distinte che assumono la forma di un museo immaginario. Ma niente paura: potete vederlo tutto di seguito… oppure no, perché è volutamente suddiviso in performance indipendenti. Cédric Enjalbert vi racconta di più.
Questo testo è tratto dalla nostra newsletter settimanale “Par ici la sortie”: tre raccomandazioni culturali, illuminate dal prisma della filosofia, ogni venerdì sera. Abbonatevi, è gratuita!
«“Si deve poter dire che le occasioni di rendere le persone pensierose sono sempre eccellenti.” Marguerite Duras lo afferma in Hiroshima mon amour, e Julien Gosselin moltiplica queste occasioni sulla scena, con audacia e molto caffè. Abituato ai viaggi di lunga durata, ha immaginato uno spettacolo di dieci ore, montato a ritmo serrato contro i cliché durassiani dell’allungamento della prosa, sfidandoli frontalmente. Con sedici interpreti provenienti dal Conservatoire national supérieur d’art dramatique, il direttore del Théâtre de l’Odéon afferra d’un colpo tutte le tonalità di questa scrittura romanzesca, teatrale, cinematografica e critica: da Hiroshima mon amour a La Vie matérielle, passando per Suzanna Andler, La Maladie de la mort e L’Amant…
La scenografia, semplicissima, composta da un corridoio bianco incorniciato da due gradinate, si dispiega come un foglio bianco su cui si inscrivono questi racconti d’amore e di morte, intimi e universali, costringendo gli attori a curare entrate e uscite. Come nella vita? Su entrambi i lati, schermi proiettano ciò che viene filmato in tempo reale, trasformando gli interpreti in attori e registi di questo corpus rivitalizzato senza deferenza. “L’unico modo per uscire da una storia personale è scriverla”, annota Duras nel 1981, definendo la sua pratica dell’estimità, di un sé rivolto verso l’esterno.
Duras frequenta i filosofi – Edgar Morin, Jean-Pierre Vernant, Georges Bataille, Maurice Merleau-Ponty… – ma li convoca raramente in modo esplicito, pur lodando la felicità attinta “dalla comprensione delle cose”. Lo afferma in Le Livre dit: “È la comprensione della vita e delle sue contraddizioni; è lì che si trova la felicità, nell’intelligenza. […] Penso che Montaigne, per esempio, l’abbia raggiunta; Rousseau, persone così; Diderot.” La vita e le sue contraddizioni: ecco ciò che interessa profondamente anche a Julien Gosselin, che in un’intervista mi confidava di voler “abbracciare direttamente il mondo, senza metafora”.»
Musée Duras, spettacolo rappresentato agli Ateliers Berthier dell’Odéon–Théâtre de l’Europe. Fino al 30 novembre 2025.





