«Non ci fermeremo fino a quando non cesserà la guerra a Gaza, non importa quale sarà il prezzo da pagare. La Resistenza continuerà le operazioni nel Sud del Libano». Con il viso stanco, ma il tono fermo, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, parla al suo popolo e al “nemico” dopo la “mini-guerra” elettronica di Israele che ha seminato terrore in Libano e nel Movimento sostenuto dall’Iran. Deve rimettere ordine, serrare i ranghi, placare l’ansia di una base disorientata, e ferita: l’attacco ha lasciato sul campo centinaia di mutilati, ai genitali, agli occhi, ad organi vitali. Gli alleati iraniani sono venuti a prendere con gli elicotteri i feriti più gravi, se li sono portati a Teheran con le teste e gli occhi ancora fasciati dalle bende. L’operazione israeliana è «una dichiarazione di guerra» che «sarà punita», promette il religioso, senza parlare di come e quando arriverà la risposta.
Nasrallah sa che le esplosioni in serie innescate dal Mossad hanno toccato un nervo delicato: il rapporto di fiducia tra il Partito armato e i suoi sostenitori, facendo vacillare il senso di sicurezza della comunità che gravita su Hezbollah e insinuando dubbi e sospetti tra i suoi quadri. L’operazione «è stato un duro colpo, il più grande della nostra storia », ammette, ma la leadership ne è uscita indenne, e così l’infrastruttura. «Ne usciremo più forti», assicura, mentre i jet israeliani colpiscono una serie di obiettivi nel Sud del Libano, e il rumore dei sorvoli (anche su Beirut) arriva in diretta nelle tv dei libanesi proprio mentre Nasrallah parla. È un’altra beffa, dopo la spettacolare vittoria tattica di Israele che il chierico prova però a convertire in una sconfitta strategica.
Per la prima volta in 75 anni, dice, Israele ha perso una percentuale di territorio, quel Nord martellato da razzi e missili da cui 100mila israeliani sono dovuti fuggire. Un rompicapo assillante per Netanyahu, forse anche più dello stallo a Gaza. Nasrallah lo sa e sfida il premier israeliano: «Non riporterai la tua gente nelle sue case». Si spinge oltre, lo sfida a un’azione di terra, ed è il vero elemento di novità: «Si parla della possibilità che le truppe israeliane entrino nel Paese per creare una zona cuscinetto: che lo facciano, lo vorremmo. Quello che loro considerano una minaccia, noi la consideriamo un’opportunità», scandisce, una sorta di “veniteci a prendere”. Un’invasione del Sud del Libano metterebbe Hezbollah sotto enorme pressione, è vero, ma offrirebbe anche la possibilità di trascinare Israele in un altro Vietnam dopo il pantano di Gaza, e darebbe al partito di Dio un’occasione per riconquistare l’allure di Movimento di Liberazionenazionale ormai perso dopo il 2006.
Israele ne è consapevole e cerca di calibrare le sue mosse. Il governo Netanyahu, che si è dato l’obiettivo di riportare gli abitanti del Nord nelle loro case, ha pronti i piani per uno scenario di guerra più ampio. Il fronte settentrionale è in stato di massima allerta, le linee sono state rinforzate anche con riservisti in ruoli specializzati e aerei da combattimento, ha spiegato l’esercito israeliano. Ma non c’è ancora luce verde, scriveHaaretz. «Questa è una nuova fase della guerra, con opportunità significative, ma anche rischi pesanti», ammette il ministro della Difesa Gallant. «Hezbollah si sente inseguito e le nostre operazioni militari continueranno ». Il segretario alla Difesa Usa Austin ha rinviato il suo viaggio in Israele previsto per fine settimana. Gli americani invitano alla de-escalation, temendo un grosso incendio a meno di due mesi dal voto.