Lo scultore Adalberto Mecarelli è scomparso lo scorso 25 dicembre a Parigi, la città dove giunse poco più che ventenne da Terni, dove era nato e dove aveva conseguito il diploma di maestro fonditore. Fu presto notato da Michel Seuphor che delle primissime prove del giovane artista italiano scrisse con vivo apprezzamento. Seuphor, l’animatore di Cercle et Carré fin dagli anni Trenta, acuto interprete e teorico dell’arte astratta nel solco tracciato da Piet Mondrian, fu in particolare colpito dal rigore di quelle prove d’esordio di Mecarelli. Si trattava di opere realizzate con fili elastici. Un particolare meccanismo tarato su tempi assai lunghi li tendeva impercettibilmente ma inesorabilmente, sì che venivano a mutarsi le reciproche relazioni spaziali tra un filo e l’altro. Nuove distanze, lontananze che ieri non c’erano e sovrapposizioni che appariranno domani sorprendenti, come non fossero il risultato di minuziosi calcoli, ma intrecci casuali, non predisposti da alcuno.

A questa poetica d’uno speciale e nascosto farsi da sé medesima dell’opera, d’un suo accadere che si palesa secondo dispositivi temporali autonomi, Mecarelli è restato fedele nel corso intero delle sue assidue ricerche. Una poetica che Mecarelli ha approfondito ricorrendo a calcoli e misurazioni le quali, per essere in anticipo messe a punto, conseguivano combinatorie esattissime di spazi e di tempi. È, tra altri che si potrebbero fare, l’esemplare caso d’una sua realizzazione che qui richiamo.

La cuspide sfaccettata d’un obelisco ove è applicata una superficie riflettente, proietta in un unico giorno dell’anno solare un raggio di luce. Quel raggio va a illuminare in successione, una via l’altra, le lettere che compongono la frase celebre di Galileo Galilei «Eppur si muove» scolpita sulla fronte di un edificio antistante. E il giorno è quello della condanna di Galileo emessa dal tribunale dell’Inquisizione. Un dispositivo tra architettura e scultura che, una volta collocato procede col mero ricorso della luce nel volgere dell’anno solare. Da artista creatore Mecarelli si fa qui osservatore attento del variare diuturno delle relazioni tra elementi fissi nello spazio, secondo un ripetersi inflessibile, il ritorno (Wiederkehr) determinato dall’incedere ciclico del tempo.

Ancora. Mecarelli copre d’un liquido trasparente e incolore la superficie d’una tela. Controlla la regolarità del tocco del pennello, ma non può vedere il risultato che l’invisibile pigmento rilascia. Si tratta di una soluzione fotosensibile. Esposta alla luce quella traccia prende a scurirsi, appare lentamente, come emergesse in superficie da profondità insospettate. E di più in più, col trascorrere del tempo, quell’affiorare si fa ombra scura, si offusca, imbruna fino a divenire una coltre di nero cupo della dimensione della tela. E i rapporti tra luce ed ombra stanno come un’altra fondamentale costante delle indagini di Mecarelli. Sperimentazioni condotte con materiali, carte e soluzioni chimiche, impiegati nello sviluppo fotografico, dai contegni diversi se lavorati in camera oscura o se investiti di luci dirette. Poi su fogli di pregiate carte esposti al sole, ad ottenere macchie di raffinate gradazioni. O carte leggere giapponesi, veline riso piegate e ripiegate fino ad esibire composizioni che alternano insieme profilature nere ed angoli chiari.

Entre ombre et lumière. Oeuvres 1967-1987 e Lux umbrae del 2010, due volumi dedicati all’opera di Mecarelli indicano bene nei titoli gli esiti delle sue indagini artistiche: da tra ombra e luce a la luce dell’ombra. Ma poi, con importanti risultati, Mecarelli ha molto meditato su opere di pittura edi architettura, in specie del Medio Evo e del Rinascimento. Conversazioni intrattenute con Georges Duby sulla architettura cluniacense e cistercense hanno orientato gli interventi delle sue proiezioni di luce volte a esaltarne e interpretarne gli stilemi. La sua consuetudine con la pittura italiana del Rinascimento ha consentito a Mecarelli una straordinaria rivisitazione di quelle opere. Ne rivela le ragioni compositive a mezzo di traiettorie di luce, così aprendo l’opera antica a nuovi accrescimenti formali, a ulteriori acquisizioni critiche.