TEL AVIV — Sono ore decisive, le più difficili. Aspettando la risposta di Hamas sulla bozza di accordo per ostaggi e cessate il fuoco — attesa stasera o domani — il premier Benjamin Netanyahu agita la clava dell’invasione a Rafah: «L’idea che potremmo mettere fine alla guerra prima di raggiungere tutti gli obiettivi è fuori discussione. Con o senza accordo, entreremo a Rafah ed elimineremo i battaglioni di Hamas». Parrebbe una pietra tombale sul negoziato, ma non è così. È equilibrismo dialettico per rassicurare chi vuole la resa dei conti con Hamas.
La clava di un attacco Rafah parla dunque alla destra israeliana, ma parla soprattutto ad Hamas: l’offerta «estremamente generosa» che ha ricevuto, come l’ha definita il segretario di Stato Usa Antony Blinken, arrivato ieri sera in Israele, è l’ultima offerta per scongiurare l’attacco che innescherebbe una catastrofe umanitaria e rischierebbe di far saltare 40 anni di buon vicinato con l’Egitto; ma sarebbe anche devastante per Hamas e per i suoi leader, braccati nella loro ultima roccaforte.
I dettagli della bozza non sono noti, e le indiscrezioni sono contraddittorie. Ma l’architrave è pronta e solida, i nodi da risolvere «ci sono» ma «non sono insormontabili». La bozza prevede il rilascio di ostaggi: dovrebbero essere 33 tra donne, anziani e malati, ma il numero dipende dagli accordi sui singoli nomi. In cambio, Israele offre un cessate il fuoco di 40 giorni, più breve se ci saranno meno ostaggi liberi. Poi la liberazione di tutti gli altri arriverebbe in cambio di un periodo lungo di «relativa calma», si parla di un anno. Sono punti su cui si tratta per limare. Hamas vorrebbe un impegno scritto formale per la fine del conflitto, non una generica “disponibilità” a una lunga tregua.
I mediatori di Hamas sono già tornati in Qatar, e la bozza è arrivata al loro leader Yahya Sinwar e alla Jihad islamica a Gaza. La stanno discutendo. Se ci saranno i margini per procedere, una delegazione israeliana andrà al Cairo a definire i dettagli dell’accordo. Altrimenti, se Sinwar dice «no» o chiede l’impossibile, si torna alla clava. Il gabinetto di guerra, cancellato ieri, è spostato a giovedì sera, e la politica lascerebbe il campo alla guerra. La Casa Bianca, per cui attaccare Rafah è «una cattiva idea», è al fianco dell’alleato ma vigila sulla tutela dei civili. Blinken è già in Israele, a concretizzare la pressione di Biden sugli aiuti umanitari. Finalmente l’aumento è reale, ha detto ieri il segretario generale dell’Onu Guterres chiedendo però a Israele di smettere di ostacolarli. Ieri il ministro degli Interni Moshe Arbel ha impedito l’ingresso, in Israele e a Gaza, del direttore dell’Unrwa, Philippe Lazzarini. Intanto, il molo temporaneo per gli aiuti costruito dagli Usa «sarà completato nei prossimi giorni», avverte Washington.