TEL AVIV — Sono ore decisive, le più difficili. Aspettando la risposta di Hamas sulla bozza di accordo per ostaggi e cessate il fuoco — attesa stasera o domani — il premier Benjamin Netanyahu agita la clava dell’invasione a Rafah: «L’idea che potremmo mettere fine alla guerra prima di raggiungere tutti gli obiettivi è fuori discussione. Con o senza accordo, entreremo a Rafah ed elimineremo i battaglioni di Hamas». Parrebbe una pietra tombale sul negoziato, ma non è così. È equilibrismo dialettico per rassicurare chi vuole la resa dei conti con Hamas.

Si va avanti, invece. Avanti tutta nonostante chi soffia sul fuoco. La pentola a pressione politica sbuffa minacciosa tra i parenti degli ostaggi, favorevoli a un accordo a qualunque costo pur di salvare la vita ai loro familiari, e gli oltranzisti dell’attacco fino all’ultimo miliziano. Netanyahu ha già dato un via libero generico alla bozza a firma egiziana in dirittura d’arrivo. Ma risponde a chi lo tira per la giacca dall’estrema destra, come il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich. Il leader del partito sionista religioso minaccia di lasciare il governo se firmerà un accordo «con chi avremmo già dovuto distruggere», e «il cui risultato sarebbe la sconfitta di Israele. Vorrebbe dire alzare bandiera bianca e far vincere Hamas. Netanyahu dia l’ordine: andiamo a Rafah adesso». E nel silenzio dell’attesa di una risposta di Hamas, Netanyahu ha promesso al ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir che non accetterà un accordo «spericolato».
I carri armati sono pronti, i piani di guerra sono stati firmati dal capo di Stato maggiore e attendono solo il via libera. Ma al centro della scena ora c’è politica e diplomazia, non la guerra. La comunità internazionale preme compatta per l’accordo, e sulla testa di Netanyahu pende la spada di Damocle dell’ordine di arresto per «crimini di guerra» che la Corte penale internazionale sarebbe pronta a spiccare: l’indagine procede con audizioni del personale medico degli ospedali distrutti a Gaza. Sono proprio gli alleati a fare pressing sula Corte per frenare una mossa così clamorosa che «rischia di far saltare la tregua». Il premier israeliano sa che un suo passo indietro lo lascerebbe solo nella fossa dei leoni.

 

La clava di un attacco Rafah parla dunque alla destra israeliana, ma parla soprattutto ad Hamas: l’offerta «estremamente generosa» che ha ricevuto, come l’ha definita il segretario di Stato Usa Antony Blinken, arrivato ieri sera in Israele, è l’ultima offerta per scongiurare l’attacco che innescherebbe una catastrofe umanitaria e rischierebbe di far saltare 40 anni di buon vicinato con l’Egitto; ma sarebbe anche devastante per Hamas e per i suoi leader, braccati nella loro ultima roccaforte.

 

I dettagli della bozza non sono noti, e le indiscrezioni sono contraddittorie. Ma l’architrave è pronta e solida, i nodi da risolvere «ci sono» ma «non sono insormontabili». La bozza prevede il rilascio di ostaggi: dovrebbero essere 33 tra donne, anziani e malati, ma il numero dipende dagli accordi sui singoli nomi. In cambio, Israele offre un cessate il fuoco di 40 giorni, più breve se ci saranno meno ostaggi liberi. Poi la liberazione di tutti gli altri arriverebbe in cambio di un periodo lungo di «relativa calma», si parla di un anno. Sono punti su cui si tratta per limare. Hamas vorrebbe un impegno scritto formale per la fine del conflitto, non una generica “disponibilità” a una lunga tregua.

 

I mediatori di Hamas sono già tornati in Qatar, e la bozza è arrivata al loro leader Yahya Sinwar e alla Jihad islamica a Gaza. La stanno discutendo. Se ci saranno i margini per procedere, una delegazione israeliana andrà al Cairo a definire i dettagli dell’accordo. Altrimenti, se Sinwar dice «no» o chiede l’impossibile, si torna alla clava. Il gabinetto di guerra, cancellato ieri, è spostato a giovedì sera, e la politica lascerebbe il campo alla guerra. La Casa Bianca, per cui attaccare Rafah è «una cattiva idea», è al fianco dell’alleato ma vigila sulla tutela dei civili. Blinken è già in Israele, a concretizzare la pressione di Biden sugli aiuti umanitari. Finalmente l’aumento è reale, ha detto ieri il segretario generale dell’Onu Guterres chiedendo però a Israele di smettere di ostacolarli. Ieri il ministro degli Interni Moshe Arbel ha impedito l’ingresso, in Israele e a Gaza, del direttore dell’Unrwa, Philippe Lazzarini. Intanto, il molo temporaneo per gli aiuti costruito dagli Usa «sarà completato nei prossimi giorni», avverte Washington.

https://www.repubblica.it/