
Il Pd sempre più Democrazia Cristiana
28 Novembre 2025
There Is a Light That Never Goes Out
28 Novembre 2025
«In questo nostro tempo che ama qualificarsi all’insegna del “post” – post-cristiano, postmetafisico, post-teologico e del postumanesimo – come se tutto cominciasse con noi, qui ed ora, il Concilio di Nicea avvenuto 1.700 anni fa ci ricorda che abbiamo una storia. E riorienta il nostro sguardo alle radici della fede che abbiamo ricevuto in dono dagli apostoli, dai martiri, dai padri della Chiesa, testimoni della possibilità di entrare in una relazione profonda con il Signore e con i fratelli. In una società come la nostra, segnata dall’individualismo, dalla frammentazione, dalla polarizzazione, Nicea insegna la centralità della relazione: il nostro essere relazione, con noi stessi, con gli altri. E con il Dio che si è fatto uomo per salvarci». Così l’arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo Davide Carbonaro, presidente della Conferenza episcopale di Basilicata, parla del primo Concilio ecumenico nella storia della Chiesa.
Con una lettera del presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, Carbonaro è stato designato per rappresentare i vescovi italiani all’incontro ecumenico di preghiera con Leone XIV, Bartolomeo I e altri esponenti cristiani che si tiene oggi nei pressi degli scavi archeologici dell’antica Basilica di San Neofito a Iznik – nome attuale dell’antica Nicea. Con il presule lucano, ci sarà anche l’arcivescovo di Foggia-Bovino Giorgio Ferretti. Ebbene: «Nicea non è solo una memoria storica, ma la radice della fede che unisce la Chiesa tutta – ha dichiarato Carbonaro appena dopo la designazione, ringraziando Zuppi –. Fu una svolta coraggiosa quella che i Padri offrirono 1700 anni fa. Affermare con l’Incarnazione che Dio non ha avuto paura della nostra carne, l’ha assunta e redenta, rivela ancora ai nostri giorni risvolti teologici e antropologici attualissimi. La Chiesa di ieri e di oggi non afferma un umanesimo nobile e neanche una mera filantropia, ma che la dignità della persona, la sua verità più profonda, è assunta totalmente dal Signore Gesù Cristo. La sua Parola viva guida le sorti della storia e rivela all’uomo di ogni tempo, il mistero della sua interiorità e delle sue relazioni».
Eccellenza, perché i vescovi italiani hanno deciso di mandare una loro delegazione a Nicea? E questa presenza quale messaggio lancia al popolo di Dio in Italia?
Lancia il messaggio che la Chiesa italiana è una Chiesa vicina, una Chiesa del Mediterraneo, in rapporto di continuità storica, teologica, spirituale con la Terra Santa e con le terre delle prime comunità cristiane, dove tutto è iniziato. Lì stanno le radici della nostra fede, che siamo chiamati a conoscere. La Cei è a Nicea in risposta all’invito giunto dal vescovo Massimiliano Palinuro, vicario apostolico di Istanbul. Con la nostra presenza vogliamo esprimere l’amicizia e la comunione con una realtà ecclesiale piccola, fragile, di frontiera, nella quale riconosciamo – con gratitudine – le nostre radici.
Il Concilio di Nicea è una storia irrimediabilmente confinata nel passato o è invece un evento ancora vivo e fecondo per il nostro cammino di fede e il nostro essere cristiani nella società e nella cultura d’oggi?
Dopo il tempo delle persecuzioni e dei martiri, Nicea fu l’evento cruciale che vide la comunità cristiana mettere al centro la domanda: “chi è Gesù?”. Una questione decisiva per la nostra fede e per il nostro essere testimoni del Vangelo nel cammino dell’umanità. La risposta del presbitero Ario e di una parte della teologia di quel tempo – Gesù non è Dio da sempre, lo è diventato ad un certo momento della storia – era mossa dall’intento di preservare la divinità e l’eternità del Padre. Ma i padri conciliari offrirono un’altra risposta: affermare che Gesù è Figlio di Dio, generato non creato, e che è della stessa sostanza del Padre – verità di fede affermata con parole prese non dal vocabolario biblico ma da quello della filosofia – e che si è fatto uomo, carne della nostra carne, vita della nostra vita, per salvarci, significa che la mia vita è inserita nella sua e la sua nella mia, e che tutto ciò che è assunto da Cristo viene redento.
E tutto questo cosa comporta?
In Gesù scopriamo la nostra relazione – la nostra prossimità – con Dio. Ci scopriamo figli di Dio. E questo grazie a un Dio che, in Gesù, si è fatto nostro prossimo e – come intuiamo dai trent’anni di vita nascosta di Gesù a Nazareth – ha imparato da Maria, da Giuseppe, dalle persone e dalle relazioni della vita quotidiana, a entrare in relazione con tutti e a prendersi cura degli altri, come ha poi fatto incontrando e guarendo i sofferenti sulle strade di Galilea – e come farà fino a donare la sua vita per la nostra salvezza. In quella quotidianità, inoltre, ha imparato le parole e le immagini che ritroveremo nelle sue parabole… Ecco: Nicea ci parla di un Dio che entra in relazione con l’umanità, e che è relazione Lui stesso – come afferma il mistero di fede della Santissima Trinità – e che ha imparato da noi a essere uomo. In questo nostro tempo che ama qualificarsi all’insegna del “post” –post-cristiano, post-metafisico, post-teologico e del post-umanesimo – come se tutto cominciasse con noi, qui ed ora, in questo tempo segnato dalla frammentazione e dalla polarizzazione, Nicea ci ricorda che abbiamo una storia, che abbiamo delle radici, a cui guardare con gratitudine, e che la vita è relazione e dono.
L’incontro di preghiera con Leone XIV e Bartolomeo I è un incontro ecumenico. Che fare perché nel popolo di Dio cresca la consapevolezza dell’urgenza del cammino dell’unità?
La fede di Nicea è la fede professata da tutti i cristiani. Nicea unisce tutti in Cristo, al di là delle divisioni teologiche o di altra natura che hanno preso forma nei secoli. È nella fede di Nicea che è avvenuto il fatidico abbraccio fra Paolo VI e il patriarca ecumenico Atenagora, il 5 gennaio 1964 a Gerusalemme, e su questa via siamo chiamati a camminare… Perché l’ecumenismo diventi esperienza e vita di popolo, serve che ogni comunità cristiana approfondisca la conoscenza della storia della Chiesa. E della Parola di Dio. E che impari a leggere con gli occhi della fede di Nicea il pluralismo del nostro tempo – pluralismo di Chiese e confessioni cristiane, oltre che di religioni, all’interno della medesima società, com’è oggi anche in Italia – perché questo orizzonte plurale non sia vissuto come frammentazione e conflitto, nella ricerca di un primato sugli altri, ma come occasione di relazione, incontro, unità, vissute nella fede nell’Unico che ci rende fratelli.
In un’Europa dove popoli che si riconoscono come cristiani sono in guerra fra loro, l’ecumenismo può essere profezia di pace?
Sì. La sfida è evitare che il cristianesimo venga ridotto a ideologia per affermare l’identità e la potenza di una nazione a scapito delle altre. È il rischio di un cristianesimo senza Cristo, svuotato dal mistero del Dio incarnato, che si fa prossimo a tutti gli uomini e le genti, e che Nicea ci consegna. Se dopo le due guerre mondiali l’Europa ha saputo guarire molte ferite e inimicizie, è stato anche grazie al cammino convergente dei cristiani delle diverse Chiese e confessioni, sulla via dell’unità del popolo di Dio.





