
Ai confini del visibile. Palestina, il senso del margine
14 Ottobre 2025Nel video girato a Firenze, alla chiusura della campagna elettorale di Alessandro Tomasi, Nicoletta Fabio non mostra un volto diverso da quello che conoscono i senesi che non la pensano politicamente come lei. Sul palco, davanti alla folla e alle bandiere, non c’è la professoressa che molti ricordano, ma la politica che ha imparato a usare il linguaggio del potere. La trasformazione non è improvvisa: è il risultato di un processo di adesione totale al ruolo, di identificazione con la parte che si è scelta di interpretare.
Fabio parla con tono fermo, assertivo, privo di esitazioni. Rivendica la forza del cambiamento, contrappone chi agisce a chi resiste, evoca una Toscana da “liberare”. Non è una recita di circostanza: è la forma autentica di un modo di intendere la politica come affermazione, non come relazione. Un linguaggio di conquista, non di amministrazione; di comando, non di ascolto.
In questo passaggio — dalla docente alla figura pubblica, dalla parola ragionata alla parola che ordina — c’è la chiave del suo profilo politico. Il consenso diventa legittimazione personale, la piazza una scena da occupare, la città un campo da governare con decisione.
Nicoletta Fabio non interpreta la politica: la vive come ruolo assoluto, senza distanza né misura. Ed è proprio in questa fusione tra persona e parte che si compie la metamorfosi. Da professoressa a sindaca, da interprete a protagonista, da parola a potere.
Ma è proprio questo modo di intendere la politica — come affermazione e distanza, come esercizio di forza e non di scambio — che allontana gli elettori dalle istituzioni. Altro che inclusione, come lei stessa rivendica nel suo intervento: la vera distanza nasce quando la parola pubblica smette di ascoltare e inizia soltanto a dichiarare.
E soprattutto, questo stile che si vuole nuovo è in realtà un modo vecchio di rappresentare la politica: verticale, solenne, fondato sull’autorità più che sulla partecipazione. Un linguaggio che non apre, ma chiude; non unisce, ma separa.
E i risultati ottenuti a Siena lo dimostrano: quel modo di fare, lontano dal dialogo e dalla condivisione, non funziona. È una politica che si isola, e alla lunga si consuma da sola.