I giovani paracadutati in cima alle liste del Pd sono ormai un problema
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22 Agosto 2022Matteo Zuppi
ALESSANDRO BARBERA
No alle polarizzazioni, no ai nazionalismi. Nel pieno di un’inaspettata campagna elettorale estiva e a quasi un mese dal voto, il cardinale Matteo Zuppi, capo dei vescovi e uomo di fiducia di Papa Bergoglio, fa uno sforzo ecumenico per non far capire come la pensa. Ma durante il lungo discorso ai militanti di Comunione e Liberazione e subito dopo incalzato da due cronisti lascia tracce del pensiero che circola in Vaticano. Si affida alla metafora «dell’uomo digitale», del pensiero ridotto a tweet e alle immagini di Instagram. Le polarizzazioni che genera «non permettono di riflettere, sono negative, non aiutano a risolvere i problemi e le domande del presente». Le domande del presente sono molte, a partire dal dramma dell’immigrazione, ma anche su questo Zuppi – in passato critico con le posizioni sull’immigrazione di Matteo Salvini – non si sbilancia. Ai militanti ciellini però qualcosa in più lo dice: «Tanta intossicazione da individualismo genera anche nazionalismi: un grande io che diventa tanti io isolati». I cattolici «devono guardare al bene comune, dunque la politica deve essere amore politico e non convenienza o piccolo interesse». È importante votare, dice il presidente della Cei, «perché a maggior ragione un cristiano che ha a cuore la vita delle persone, cioè il suo prossimo, deve impegnarsi in tutto ciò che può favorire la difesa della persona. Il voto è questo. C’è libertà di coscienza, ma non libertà di disinteresse».
Mentre Zuppi parla ai fedeli nell’ala all’aperto della Fiera di Rimini, i giovani militanti bevono spritz e ascoltano trap ad alto volume. Poi qualcuno si accorge dei testi poco consoni a una kermesse di cattolici e la playlist vira su brani melodici. Interpretare la contemporaneità non è semplice nemmeno per il mondo di Comunione e Liberazione.
«Il discorso pubblico affidato ai social network prefigge il sì o il no, evita la comprensione e l’incontro. E invece occorre ritrovare la passione per l’uomo», insiste Zuppi. Fra le parafrasi si intuisce che Zuppi pensa al 25 settembre, il giorno in cui – per ironia della sorte – si riunirà il congresso eucaristico dei vescovi a Matera.
Insomma, mai come quest’anno il mondo cattolico si presenta al voto in ordine sparso, ed è spiazzato dalla caduta prematura del governo del cattolico Mario Draghi. I tempi della democrazia cristiana e delle indicazioni dei vescovi sono lontani un’era geologica. Lo si nota anche fra gli stand delle grandi aziende che riempiono il Meeting. Ci sono giovani schierati a sinistra, famiglie orientate a destra, prelati che discutono il da farsi. Il gesuita Francesco Occhetta lo dice apertamente: «La cultura centrista dovrebbe avere il coraggio di federarsi. Dopo le derive politiche degli schieramenti tradizionali, molte persone che la appoggiavano si stanno chiedendo chi votare. Tra queste ci sono anche i cattolici liberali, popolari e democratici, radici diverse di un unico albero». Una cosa è certa: i cattolici non vogliono essere strumentalizzati, e lo dimostra la polemica del quotidiano dei vescovi Avvenire contro lo slogan «credo» di Matteo Salvini, il quale dai tempi della “bestia” (nomignolo affibbiato alla struttura di propaganda della Lega) ha sempre creduto alla forza persuasiva dei social. Dice Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose: «Credere è sempre dare fiducia a tutti senza barriere, altrimenti come verbo sta bene solo con lo slogan fascista credere, combattere e morire!». Qualche giorno fa il capo di Sant’Egidio Andrea Riccardi – già ministro del governo Monti – è stato ancora più esplicito: «Tra la destra e la Chiesa c’è una distanza non facilmente colmabile». Fra gli elettori cattolici la faccenda è meno pacifica di così, ma mai come quest’anno sembra valida la premessa di un vecchio slogan del 1948: «Nell’urna Dio ti vede, Stalin no».