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ilario lombardo
Si parte con Monte dei Paschi di Siena. Il tavolo informale sulle nomine dovrebbe riunirsi di nuovo domani a Palazzo Chigi. Si ritroveranno il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovambattista Fazzolari, i due vicepremier, Matteo Salvini e Antonio Tajani, e Gianni Letta, braccio destro di Silvio Berlusconi. Giorgia Meloni non ha ancora deciso se parteciperà oppure lascerà fare al fidato Fazzolari. La riunione sul giro di poltrone delle partecipate servirà soprattutto a formalizzare le regole. Cioè le quote che spettano ai tre partiti di maggioranza – quanto andrà a chi – e con quali criteri la politica accoglierà o meno le indicazioni dei cacciatori di teste ingaggiati dal ministero dell’Economia. Anche perché tra fine marzo e gli inizi di aprile bisognerà licenziare la prima tranche di nomi.
Meloni ha fatto due richieste: confermare i manager – se non tutti, quasi – che hanno fatto bene e avere almeno un amministratore delegato donna in una delle grandi aziende di Stato. Difficile che non venga accontentata. E, secondo fonti di governo, tutto lascia pensare che possa essere a Terna. Basta andare per esclusione: sembra ormai certo che l’attuale ad Stefano Donnarumma sarà destinato a Enel, mentre per Leonardo e Poste i candidati su cui i partiti continuano a insistere sono uomini.
Meloni sa che al grande buffet delle nomine la Lega arriva più affamata del solito. E qualcosa, di quanto chiesto, Salvini intende ottenerlo. La Stampa ieri ha raccontato di Rfi, la società del Gruppo Fs che gestisce la rete ferroviaria italiana, e su cui saranno riversati 25 miliardi di euro del Pnrr. Ma il leader della Lega vuole piazzare uomini di fiducia anche fuori dalle aziende di competenza dirette del ministero dei Trasporti. Entro il 26 marzo il Mef dovrà ufficializzare la lista dei candidati per il Cda di Mps. Per l’ad sembra ormai certa una soluzione interna e al Tesoro danno come probabile la riconferma di Luigi Lovaglio, alla guida del Monte dal febbraio 2022. D’altronde, osservano dal ministero, in tredici mesi è stato in grado di chiudere un aumento di capitale da oltre 2 miliardi e portare più di quattromila dipendenti all’uscita volontaria. Avrebbe dato anche ampie garanzie al centrodestra, di puntare a realizzare l’operazione battezzata da Salvini un anno fa: consolidare Mps come il terzo polo bancario italiano, magari portando l’istituto alla fusione con Bpm o Bper. Quel che è certo è che la Lega non vede l’ora di mettere le mani sulla banca che per decenni è stata il centro di potere locale e nazionale del Pd. Salvini la considera «una svolta epocale», e, per essere sicuro che non rimanga alcuna impronta della sinistra, ha chiesto che a occupare la poltrona di presidente vada Nicola Maione, avvocato, già presidente di Enav, e consigliere di Mps. Nel frattempo, però, per lo stesso posto sono spuntati anche i nomi di due donne, Marta Asquasciati, di Iren, e Barbara Lilla Boschetti, di Fnm. Molto dipenderà da quanto sarà rigida l’interpretazione che domani i partecipanti al tavolo di Palazzo Chigi daranno al criterio delle quote rose imposto da Meloni. Se, in particolare, la premier si accontenterà di ritrovare donne ai vertici delle aziende nel ruolo di presidenti, com’è stato finora – quindi con meno poteri operativi –, o se questa sarà la volta buona e si parlerà degli (delle) ad anche al femminile.