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Le misure varate dal Comune di Siena e dalla Fises per favorire l’apertura di nuove attività nel centro storico segnano un passo avanti, ma restano lontane da una strategia di rilancio economico strutturale.
Ottantamila euro in contributi comunali e un nuovo plafond di finanziamenti agevolati non sono un piano di sviluppo: sono un segnale, importante ma insufficiente.
La vera sfida, infatti, non è aprire nuovi esercizi: è farli durare. E per durare serve una redditività stabile, che oggi il centro storico di Siena non è in grado di garantire.
La redditività non nasce da un atto amministrativo, ma da una condizione urbana viva: da un mercato reale, da flussi costanti di domanda, da una popolazione che abiti e lavori nel centro. Siena, come molte città d’arte italiane, ha vissuto invece un processo opposto. Negli ultimi vent’anni il cuore della città si è progressivamente svuotato: meno residenti, meno servizi, meno vita quotidiana. Il centro si è trasformato in una scenografia economica, dove il valore immobiliare cresce mentre la vitalità produttiva si riduce.
Nel centro storico di Siena il problema non è soltanto economico, ma prima di tutto umano. Le strade, un tempo animate da voci e botteghe, si sono progressivamente svuotate. Le luci accese la sera sono sempre meno: dietro molte finestre non ci sono più famiglie, ma appartamenti turistici. È la desertificazione residenziale, silenziosa ma inesorabile. E con gli abitanti se ne va la domanda quotidiana, quella che sostiene le attività di prossimità, il panificio, la cartoleria, la piccola officina. Un negozio vive di un quartiere, non di un flusso di visitatori che passa e scompare.
Anche il turismo, su cui Siena ha continuato a contare, mostra tutta la sua fragilità. Il visitatore giornaliero arriva, fotografa, consuma in fretta. Spende poco e lascia dietro di sé un’economia effimera, fatta di stagionalità e precarietà. Il turismo culturale, più consapevole e stabile, resta minoritario, schiacciato da un’offerta omologata e spesso frettolosa.
A rendere tutto più difficile è infine il costo degli spazi. Gli affitti nel centro storico restano alti, tarati su un mercato immobiliare che considera gli immobili come beni da valorizzare patrimonialmente, non come luoghi da vivere o da produrre. Così il valore cresce solo sulla carta, mentre la città reale si impoverisce: i locali chiudono, le serrande si abbassano, e le vie del centro diventano sempre più belle e sempre più vuote.
In questo contesto, i nuovi incentivi comunali e della Fises agiscono come strumenti di compensazione, non come leve di sviluppo. La riduzione della Tari, i contributi una tantum o l’abbattimento degli interessi non bastano a invertire una tendenza economica profonda. Senza una politica capace di ridurre i costi strutturali e di ampliare la base di domanda, ogni nuova apertura rischia di restare un episodio isolato.
Durare significa poter contare su un ecosistema urbano vitale: abitazioni accessibili, presenza di studenti e lavoratori, spazi di socialità e cultura, servizi di prossimità, affitti sostenibili. È in questa rete che un’attività può generare valore nel tempo, e non solo resistere.
Per questo, Siena ha bisogno non di incentivi spot, ma di una vera politica di rigenerazione economica.
Una strategia che riporti la residenza nel centro, che sostenga l’artigianato evoluto e le imprese culturali, che favorisca l’insediamento di giovani e professionisti, che unisca la tutela del patrimonio alla produzione di nuove economie urbane.
Non si tratta di “difendere” il centro storico, ma di restituirgli una funzione economica e civile, capace di legare memoria e futuro.
Solo così Siena potrà tornare a essere una città che produce valore, e non soltanto lo conserva.
Perché aprire è facile; durare, oggi, è l’unica vera forma di innovazione.