“Gli scrittori non vanno mai censurati la cultura apre la mente e frena la guerra”
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18 Novembre 2023L’intervista
di Greta Privitera
Il figlio di Vivian Silver, pacifista uccisa dai terroristi: diceva che la vendetta non è una strategia
«Mia mamma — dice Yonatan Zeigen — urlerebbe “non nel mio nome”». «Not in my name» scriverebbe sui cartelli. Ma ora che non c’è più è il suo turno: «Non bombardate Gaza nel nostro nome». Yonatan sta cercando di capire come gestire il dolore profondo che prova per la morte di sua madre e la questione politica che la sua uccisione si porta dietro: «Non è facile quando l’amore è così intrecciato con la guerra», dice al telefono.
Il 7 ottobre, Vivian Silver, 74 anni, una pacifista che per tutta la vita ha lavorato per la riconciliazione con la Palestina, era a casa sua, nel kibbutz Be’eri, dove ora ci sono solo i resti delle case a testimoniare la ferocia dell’attacco di Hamas.
Fino a cinque giorni fa, si pensava fosse tra gli ostaggi, a Gaza, ma poi è arrivata la notizia: «Ritrovato il corpo di Vivian Silver».
Aveva speranze?
«Rivederla mi sembrava il modo per tornare alla vita di prima. Eravamo molto uniti».
È stato l’ultimo che ha sentito.
«Le ho parlato mentre era nascosta dietro la porta nella safe room. Mi raccontava quello che stava succedendo: “Sono entrati in casa”. Aveva paura. Le ho iscritto: “Mamma, non ho parole, ti sono vicino”. Lei: “Lo sento”. Poi più niente».
Lei pensa che sua madre direbbe «not in my name». Non proverebbe rabbia?
«Sarebbe triste e avrebbe il cuore spezzato. Ma è una vita che combatte contro la rabbia che diventa politica. Nel nome di mia madre, Netanyahu dovrebbe fare il contrario di quello che sta facendo. La vendetta non è una strategia: bisogna negoziare, allargare il dialogo con gli altri Paesi, liberare gli ostaggi. L’unico modo per vivere in un’Israele sicura è avere la pace».
Attivista
«Secondo lei Gaza aveva due nemici: le bombe di Israele e l’ideologia dei miliziani»
E lei non prova rabbia?
«Hamas ha spazzato via la mia famiglia, i miei vicini di una vita. Ma se facciamo la stessa cosa con Gaza succederà di nuovo. Hamas sono 20mila miliziani, ma è soprattutto un’idea, le idee non finiscono con le bombe, anzi. I bambini palestinesi fra 15 anni ci odieranno. Dobbiamo interrompere questo ciclo d’odio. È incredibile dirlo, ma la morte di mia madre mi ha dato anche nuova energia».
Che cosa intende?
«Questo dolore è una sorta di risveglio. Aveva ragione lei: mentre noi conducevamo le nostre vite sicure a Tel Aviv, con l’intelligence super potente, la tecnologia, le safe room, l’Iron Dome, ci dimenticavamo di essere in guerra e non facevamo niente per la pace. Ogni tanto c’era un’escalation, bombardavano e tornavamo ad accasciarci nelle nostre vite confortevoli, lasciando Gaza nei retro pensieri».
Chi era sua madre?
«Una donna molto piccola dalla forza sorprendente. Ha dedicato la sua vita alla missione di pace con la Palestina, ha fondato la Women Wage Peace. Da bambino mi portava a Gaza a trovare i suoi amici e fino alla fine ha accompagnato i cittadini malati della Striscia negli ospedali israeliani. Era nata in Canada ed è arrivata nel kibbutz Be’eri molto prima di Hamas. Diceva che Gaza aveva due nemici: le bombe di Israele e l’ideologia dei miliziani».
Lei ha tre figli, che cosa dicono?
«Hanno visto la nonna una settimana prima dell’attacco. Era il compleanno di uno di loro e lei aveva cucinato una torta a forma di drago. Ora mi chiedono: “Papà, chi ci farà la prossima torta?”».