Ipartiti politici sono come le repubbliche, con confini, libere elezioni e leader. Come le repubbliche, hanno parti. Ciò è normale, anzi salutare, perché senza ‘sfogo’ il dissenso, inevitabile dove c’è libertà, tracima in guerra intestina e secessione. Forse, solo i partiti al potere sanno domare il dissenso: grazie alle risorse pubbliche, un forte collante.
I partiti dell’opposizione sono più tumultuari. Neppure il glorioso Partito comunista riuscì a tacitare le “correnti”, nonostante il centralismo democratico le domasse dosandole negli organi dirigenti, nel parlamento e nei governi locali. Ma il contesto internazionale era il vero collante, e più si fece labile, più il centralismo democratico si riempì di crepe.
Circa il partito correntizio per eccellenza, la non meno gloriosa Democrazia cristiana, la guerra intestina e le correnti di notabili, spesso radicate nelle regioni, sono state la sua storia (ereditata dal Pd). Una storia di unità, anche in questo caso grazie alla Santa Guerra Fredda, che congelò per cinque decenni il ricambio di governo, con gravissime conseguenze per il bene pubblico.
Populismo per populismo
Se le elezioni non possono fare compiutamente il loro lavoro – chi vince sa di poter perdere – l’esito della competizione diventa una lotta blindata per posti e borse, distribuiti a tutto vantaggio di chi governa. In un sistema garantito da fattori esterni, le correnti possono anche essere fazioni vere e proprie (associazioni non visibili che tengono sotto scacco la dirigenza per proteggere o accrescere privilegi) senza essere fatali all’unità. Ma non appena quei fattori si estinguono, le correnti e le fazioni alle quali la classe politica si era abituata svolgono una funzione opposta: non di stabilità ma di permanente scissionismo.
La storia del nostro paese dal 1992 in poi è stata una storia di populismo per mezzo di populismo, di personalismo permanente e di difficoltà estrema a radicare i partiti. Forse solo Forza Italia è riuscita ad essere un nuovo partito unito, ma perché posseduta dal suo fondatore. Il Partito democratico è invece l’emblema della scarsa o nulla etica del partito che ci ha lasciato in eredità mezzo secolo di guerra fredda. Dar vita e tenere in vita un partito sono cose diversissime, come ben sappiamo, che siamo tanto bravi nella prima impresa quanto scarsi nella seconda.
Il Pd è una cavia dell’impartitismo (mi scuso per questa parola che non c’è, ma che rende l’idea) e con la sua progressiva perdita di pezzi e di energia identitaria (partitica) si avvia ad essere vittima fatale della poca esperienza con il correntizio libero da ipoteche esterne. Il pluralismo nella libertà è un’arte di difficile apprendimento. E infatti, il Pd non produce correnti ma fazioni vere e proprie.
La nuova corrente Pd
L’ultima in ordine di tempo è quella che si è recentemente riunita a Milano, che si è descritta come «pensiero che si organizza», ovvero “facitore” (fazione) di un progetto politico che non è quello stesso del partito nel quale dichiara di voler tuttavia stare. A giudicare dalla violenza verbale di alcune leader di questa neonata fazione, insieme moderata ed immoderata, sembra che poco resti del Pd. E invece, di questi tempi, i cittadini democratici vorrebbero veder tutto fuor che questa debolezza del maggiore partito di opposizione.
Un elettore italiano, magari di quelli che da anni disertano le urne, forse vede in questo «pensiero che si organizza» la vigilia di una nuova seprazione a conferma dell’identità tumultuosa del Pd, nato per generare gruppi personalistici, la maggior parte di essi alla ricerca di un centro (molti eletti con i voti di quel Pd a dirigenza Schlein che oggi accusano di estremismo). E siccome sono ormai tanti i gruppuscoli che si dicono centristi, viene da pensare che alcuni di loro barino, perché non possono tutti occupare lo stesso spazio. Quando si sparge il mangime al centro dell’acquario, i pesci corrono e lo occupano: e il centro non c’è più.
Insomma, a parte i nomi dei personalisti che negano il personalismo (ma sempre meglio uno che una selva di personalisti, come impariamo dalla letteratura sui partiti), la consueta intolleranza dei fondatori (perenni tutori della loro creatura) verso la giovane segretaria (nel paese dei perenni saggi avere quarant’anni è un grosso peccato, che si lava stando aggrappati alla loro giacchetta), poco si capisce di questo «pensiero che si organizza».
Che lettura propone della società italiana? Quali classi sociali vuole rappresentare? Che idea ha dei diritti sociali e dei servizi pubblici? E della riforma della giustizia? E del premierato? Con quali risorse pensa di alimentare la “crescita”? Alle dichiarazioni non è seguito molto. L’organizzazione c’è. E il pensiero?








