Paolo Russo
La rabbia dei governatori contro il piano di revisione del Pnrr approvato dal governo è tutta nel documento bipartisan di 27 pagine approvato dalla Conferenza delle Regioni. «La sostituzione delle risorse Ue con quelle del bilancio nazionale – scrivono – potrebbe rappresentare un’incognita forte data da saldi di finanza pubblica, c’è il rischio di bloccare i cantieri». E sulla Mission Salute, dove molti dei nuovi presidi territoriali saranno finanziati con i soldi dell’edilizia sanitaria, le Regioni gelano il governo: «Quelle risorse sono già programmate». Come dire che un terzo delle Case e degli Ospedali di comunità depennati dal Pnrr difficilmente rientreranno dalla finestra con le altre forme di finanziamento indicate dalla proposta di revisione del Pnrr presentata dal ministro delle Politiche europee, Raffaele Fitto. Tanto più che i 10 miliardi della finanziaria datata 1988, che si vorrebbero ora utilizzare per mettere le gambe alla riforma dell’assistenza territoriale, non sono stati spesi fino ad oggi per le lungaggini burocratiche denunciate dalle stesse Regioni.
«Ancora una volta, le Regioni e le Province Autonome non sono state coinvolte nella definizione del documento, benché, come ampiamente dimostrato sino ad ora, nell’attuazione del Pnrr, le stesse giochino un ruolo fondamentale per l’attuazione. In relazione a ciò appare, quindi, quanto mai opportuno e urgente un confronto sul documento anche al fine di assicurare un allineamento e una coerenza con le progettualità e le programmazioni regionali». È quanto scrivono nel documento congiunto, sottolineando come «la sostituzione delle risorse Ue con quelle del bilancio nazionale potrebbe rappresentare un’incognita forte data da saldi di finanza pubblica e dall’entrata in vigore della nuova governance europea, un rischio blocco dei cantieri senza la certezza dei finanziamenti e, infine, un rischio per le autonomie speciali di definanziamento degli interventi» laddove l’intervento statale le esclude.
Una presa di posizione forte e non liquidabile come frutto di propaganda politica, visto che la maggioranza delle Regioni è governata dalla destra.
Le richieste dei governatori si condensano in quella di garantire le necessarie coperture finanziare ai progetti, in particolare quelli per la riqualificazione delle aree urbane, prima su tutte le periferie, che stanno particolarmente a cuore agli Enti locali, ma sui quali il governo ha calato la scure, definanziando 5,8 miliardi.
Il presidente della Conferenza delle Regioni, il friulano e leghista Massimiliano Fedriga, chiede intanto a nome di tutti i governatori un incontro con il governo. Ma ad ascoltare le parole di sindaci e presidenti regionali le distanze tra enti locali e governo al momento sembrano incolmabili. «Invece di usare i fondi europei per le Case di comunità utilizzano i fondi per il Sud. Tutto questo è sconvolgente», tuona il governatore campano, Vincenzo De Luca. Per il quale il piano «sottrae 13,5 miliardi alle infrastrutture sui territori». A parere del presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, così «si rischia di bloccare nuovi servizi, interventi per l’assetto del territorio e in contrasto al cambiamento climatico». «Io mi metterei a verificare chi ha i progetti pronti», propone il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini. Che poi puntualizza: «C’è più di uno in Europa che scommette sulla nostra inaffidabilità per sottrarci quei fondi. Se ci si accorge che alcune istituzioni non sono in grado di spenderli li si metta a disposizione di chi è capace di farlo». Intanto Fitto incontra i magistrati della Corte dei Conti, perché dietro il taglio da 16 miliardi dei progetti ci sono anche quelli che bloccano i cantieri già aperti, dove gli amministratori rischiano di essere citati per danno erariale se i lavori non andranno più avanti.