Dopo l’attacco sul territorio iraniano, droni sulla Siria. Mosca avverte: “Basta blitz”
Nella notte tra domenica e lunedì una serie di attacchi aerei probabilmente condotti con droni dall’aviazione israeliana ha distrutto un convoglio di camion che dall’Iraq entrava in Siria attraverso la città di Abu Kamal, diventata negli anni della lunga guerra civile siriana una sorta di succursale iraniana. È un altro capitolo della caccia alle armi di Teheran che gli israeliani conducono colpendo con sabotaggi e operazioni mirate le infrastrutture militari in Iran, come è accaduto sabato sera con l’attacco contro un centro militare a Nord di Isfahan, o prendendo di mira le reti di logistica e trasporto con le quali Teheran rifornisce di missili e componenti le sue milizie in Iraq, Siria e Libano.
I sei camion colpiti domenica erano carichi di armi, afferma l’Osservatorio siriano per i diritti umani, una Ong con base a Londra che ha una buona rete di fonti sul posto, anche se un funzionario siriano della frontiera ha negato con l’Afp che i «25 camion » portassero armamenti: dice che trasportavano cibo e aiuti.
L’attacco è avvenuto in due tempi: c’è stata una prima sequenza di raid nella notte e poi un attacco con droni lunedì contro il fuoristrada del leader di un gruppo locale filoiraniano. Le vittime sono dieci e non sono siriane, secondo la Ong. Omar Abou Leila, un attivista che gestisce il sito di notizie locale DeirEzzor24, sostiene che i raid abbiano preso di mira «il quartier generale delle milizie filo-iraniane».
Sebbene Bashar al Assad rivendichi la vittoria nella guerra civile siriana, che ha fatto più di 500mila morti e 12 milioni di sfollati, la Siria resta un Paese diviso, in cui solo il 15% dei confini è in mano all’esercito siriano e dove si continuano a combattere diversi conflitti regionali e internazionali per procura. La Turchia di Erdogan è schierata nell’ultima area rimasta sotto il controllo dei ribelli, la regione di Idlib, ma sta tentando un riavvicinamento con Assad. La Russia è la principale forza aerea a sostegno del regime, controlla porti e basi militari. L’Iran – che insieme ai russi ha consentito ad Assad di restare al potere e ha combattuto l’Isis sunnita – è in Siria per restarci e ha radicato la sua influenza attraverso milizie locali e straniere – libanesi, irachene, afghane, pakistane – gestite dalla Forza Quds dei Guardiani della rivoluzione e con una rete di associazioni e fondazioni religiose che forniscono servizi sanitari e di istruzione alla popolazione, sostituendosi alla malandata amministrazione siriana.
Abu Kamal si trova poco dopo il confine iracheno, sulla strada che porta a Deir Ezzor, sulla sponda occidentale dell’Eufrate, da lì passano armi, combattenti e merci. Gli israeliani in genere non commentano le operazioni all’estero, ma hanno intensificato la campagna di raid aerei per colpire il passaggio di armi verso Hezbollah, in Libano, e per allontanare gli iraniani dal confine israelo-siriano. Le alture del Golan che separano Israele e Siria sono tra le maggiori aree di tensione.
A novembre, un raid aveva preso di mira un convoglio di armi e camion delle milizie filoiraniane uccidendo almeno 14 persone. Rompendo la discrezione che circonda le operazioni israeliane, l’allora capo di stato maggiore Aviv Kohavi rivelò che dietro il raid c’era Israele, aggiungendo che il convoglio trasportava armi dirette in Libano. Solo nel 2020, per stessa ammissione di Kohavi, Israele ha condotto più di 500 raid in Siria, in molti casi con l’assenso e il coordinamento della coalizione anti-Isis a guida americana. I russi alleati dell’Iran e di Assad accettano in silenzio che Israele compia queste operazioni a difesa della propria sicurezza, ma non è un accordo blindato e il rischio di uno scontro con Mosca è reale, tanto che ieri il Cremlino ha «condannato» il raid del fine settimana sul territorio iraniano: «Così è a rischio la pace in Medio Oriente». Già a maggio la contraerea russa aprì il fuoco per bloccare un raid israeliano e non è chiaro se si trattò di un incidente o di un avvertimento, ma non alienarsi l’assenso tacito di Mosca alle operazioni in Siria è tra i motivi che hanno spinto Israele a non schierarsi nel conflitto ucraino.