Scende dall’auto presidenziale, Giorgia Meloni. La piazza l’accoglie con un coro di “Vergogna, assassini”. Ma, sul sagrato della chiesa, c’è anche la folla dei Fratelli d’Italia. Timidi applausi e un grande smarrimento. I celerini con caschi, visiere e scudi sono pronti a soffocare la protesta. Che emozione, Cutro. Lo sguardo perso nel vuoto della presidente del Consiglio, mentre con Matteo Salvini e Antonio Tajani sale la scalinata per entrare in comune. Il fermo immagine di Cutro racconta di un Paese che non ha più connessioni.
Quanta dignità esprime questo popolo che si ritrova a Cutro, per dire che quei settanta morti rimarranno una terribile cicatrice. “È una questione etica. Noi restiamo qua”. È un ragazzo che respinge l’invito della polizia a lasciare il presidio, la manifestazione.
Una questione “etica”. Avete capito? E loro, questo governo, la presidente del Consiglio, hanno avuto paura di andare nel palazzetto dello sport di Crotone a inchinarsi davanti a quelle povere bare. Sembrano già messi all’angolo, i vari Salvini e Piantedosi, che mostrano la loro vacuità, il loro assoluto vuoto di fronte alla sofferenza, alla dignità, alla complessità di questa epoca moderna ricca di contraddizioni stridenti.
Non sono in grado di capire. Tanto che l’unica ricetta che possono sottoscrivere è l’inasprimento delle pene. Non solo di quelle agli scafisti, ma anche di quel popolo dannato che fugge dalla guerra, dalla miseria, dai cambiamenti climatici, dalle discriminazioni. Coloro che verranno bloccati, dovranno rimanere nelle prigioni-lager, nei centri di permanenza, sei mesi (oggi il tempo massimo è di tre mesi).
Quanto estraneo appare questo Consiglio dei ministri catapultato in una civiltà sofferente. Anche surreale, perché non si capisce il senso di questa “passerella”, per dirla con i calabresi in piazza. Appoggiato con i gomiti sulla transenna, un anziano mostra un foglio ciclostilato con la scritta Not in my name (un altro foglio è in italiano: “Non in mio nome”).
È un’Italia che si tira fuori, che non vuole compromettersi con la barbarie. La “sconnessione” della piazza si vede plasticamente: il popolo che rivendica l’accoglienza, quello che vota a destra, e il governo che arriva e scappa dentro il comune. Quasi che avesse paura di contaminarsi con la piazza. Convinto, il governo, di avere la maggioranza del Paese dalla sua parte (mentre sappiamo che rappresenta solo un terzo del Paese).
“Si doveva inginocchiare davanti alle bare”. È un modo di parlare antico, che segna il disprezzo e la distanza. Non c’è il soggetto, è sottinteso che si riferisce alla presidente del Consiglio. E questa piazza lascia ben sperare. È un messaggio rivolto a quel “campo largo” della sinistra che tutti vorrebbero rianimato. “Se la prendono con gli immigrati, ma il lavoro ce lo ruba la politica”. Parole profonde, amare. Sulle quali dobbiamo riflettere. Ieri avremmo detto che sono qualunquiste. Oggi, invece, chiedono una nuova politica.